In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
MATTEO
Oggi Futuri Preferibili compie un anno.
Con Paolo ci siamo chiesti più volte se celebrare questo traguardo – e altrettante volte ci siamo domandati se fosse necessario rivedere qualcosa del format, fare dei piccoli aggiustamenti o persino se fosse il caso di cambiare completamente rotta.
Per risponderci, abbiamo deciso di fare con Futuri Preferibili quello che facciamo di solito con gli argomenti che decidiamo di affrontare. Partiamo dal presente, prendiamo la rincorsa nel passato e ci interroghiamo su quale futuro vorremmo vedere realizzato.
PAOLO
Iniziamo con qualche numero.
Futuri Preferibili viene inviata ogni lunedì a circa 650 indirizzi email, in crescita lenta, ma costante. Il tasso di apertura delle email è intorno al 56%. Qualche destinatario è dormiente, ma ci incoraggia sapere che sono oltre 150 gli iscritti che Substack classifica come molto attivi, e più di 300 quelli mediamente attivi. In un anno abbiamo inviato 45 email, una ogni lunedì, con una pausa nel periodo natalizio e una nel mese di agosto.
Abbiamo ricevuto moltissimi commenti e anche creato nuove relazioni e opportunità di lavoro. Siamo felici di quello che siamo riusciti a creare da zero, ma sappiamo anche di essere solo all’inizio. Per domandarci dove vogliamo andare, chiediamoci da dove siamo partiti.
Flashback
MATTEO
Futuri Preferibili nasce da una mia necessità, alla quale è seguita un’idea.
La necessità era trovare un modo per avere un dialogo costante con le persone più importanti nella mia vita professionale: clienti ed ex clienti, colleghi ed ex colleghi, professionisti che si occupano di impresa, design, tecnologia e comunicazione. Volevo che queste persone potessero restare in contatto con me in un modo semplice, che non implicasse troppi sforzi da parte loro. La newsletter mi sembrava un buon mezzo, ma di che cosa parlare? Di qualcosa che avesse a che fare con il mio lavoro, ovviamente. Dovevo però farlo in modo unico, trattando argomenti interessanti e di cui solo io potevo parlare.
Il mio mestiere ha a che fare con con l’individuazione del posizionamento strategico di un’organizzazione e con la costruzione della sua identità: linguaggio, simboli, esperienze e prodotti. Molte agenzie e studi di design eccellenti, nonché una moltitudine di professionisti capaci lavorano nel mio stesso ambito. Tuttavia, quelli che lavorano nel branding spesso si concentrano sul crafting: la maggior parte di loro parla di linguaggio visivo, solo alcuni parlano di identità verbali e in pochi fanno un’indagine approfondita sul posizionamento strategico. Chi si occupa di prodotto parla di tecnologia, oppure di aspetti molto tecnici legati al design (UX/UI), o ancora di strategie di crescita (growth è una parola che va molto di moda). Infine, chi fa marketing è spesso iperconcentrato su aspetti tattici del business, sulla necessità di vendere e di farlo il prima possibile, cioè oggi.
Manca in tutto questo contesto una narrazione seria e competente del futuro, che è davvero l’unica cosa che conta nella costruzione di un’identità. Le grandi organizzazioni sono quelle che riescono a definire un’idea di futuro, verso la quale guidano le persone che si affidano a loro.
Non con il crafting, non con i prodotti, non con il marketing si conquista il cuore di un essere umano, ma con la capacità di guardare avanti e di camminare nella stessa direzione.
Così arriviamo all’idea: facciamo una newsletter che parla di futuro. E siccome non esiste un solo futuro, ma molteplici futuri, al plurale, che competono uno contro l’altro per affermarsi, allora parliamo dei futuri che vale davvero la pena indagare: i futuri preferibili, quelli che vorremmo vedere realizzati per noi stessi e per gli altri. Diamo cioè alle organizzazioni una bussola per definire il loro futuro ideale e un framework per costruire gli strumenti che serviranno a manipolare il presente, affinché tutto cospiri per la realizzazione di ciò che vorrebbero veder accedere nel mondo.
Bella idea, ma parliamoci chiaro, Matteo: da solo non riuscirai mai a metterla a terra. Hai un sacco di lavoro da sbrigare, una famiglia e due figli che giustamente reclamano il tuo tempo e la tua attenzione…
Mi serviva una mano: così ho pensato a Paolo, uno dei colleghi che ha più esperienza in fatto di scrittura, e di cui mi fido moltissimo, per la definizione dei contenuti; e a Pietro per un tocco grafico essenziale che desse un po’ di carattere a quello che via via avremmo scritto.
PAOLO
Ma come? Io scappo dall’università e dall’editoria per fare il copywriter, e tu mi chiedi di scrivere testi lunghi e pensosi, con un taglio culturale? Sul futuro, poi, a me che fino a ieri ho vissuto immerso nel passato?
Forse era il mio destino. O forse nell’idea di Matteo c’era una chiave per sbloccare anche me: numero dopo numero mi accorgevo che non avevo mai scritto in modo così libero e coraggioso, con gli occhi così bene aperti sul mondo e le sue tensioni, sui desideri e i bisogni delle persone. Mi sono accorto che non ero mai stato così vicino a fare cultura nel senso più autentico dell’espressione.
Abbiamo scritto di argomenti molto diversi: lavoro, creatività, leadership, comunità, soldi, Milano, cibo, scrittura e ovviamente intelligenza artificiale.
Non tutti gli articoli hanno avuto lo stesso successo. Ma guardando i post che hanno registrato più visite, apprezzamenti e commenti non troviamo un’indicazione chiara di quali siano i contenuti migliori per il nostro pubblico.
L’articolo con le performance migliori è Saremo felici?, l’unico che ha rotto lo schema “Noi siamo qui - Flashback - Fast forward” per usare un tono più personale.
Poi, nell’ordine, ci sono:
Tutti articoli di cui siamo estremamente soddisfatti, ma che hanno pochi tratti in comune oltre al format. Una cosa è certa: c’è molto più entusiasmo quando scriviamo di argomenti vicini al nostro lavoro, un po’ perché parliamo di cose su cui siamo molto competenti (e ci appassionano molto) e un po’, probabilmente, perché gli iscritti vengono dal nostro stesso contesto professionale. Ma le statistiche ci dicono che, al momento, c’è ancora tanta voglia di storie personali, di racconti che lascino intravedere uno spiraglio positivo sul futuro.
A volte sembra quasi che le persone che ci leggono si siano iscritte a Futuri Preferibili proprio perché hanno bisogno di uno sguardo ottimista sulla vita. È così?
Fast forward
MATTEO
Quando abbiamo iniziato a scrivere Futuri Preferibili non sapevamo dove ci avrebbe portato. Abbiamo usato la scrittura per quello che è, cioè un potentissimo strumento generativo.
PAOLO
Scrivere costringe a rallentare, a focalizzare l’attenzione e a pensare in profondità. In un mondo in cui l’attenzione è frammentata e bastano pochi secondi per far generare un testo a un AI, rallentare per scrivere è un atto di resistenza che ci dà il privilegio di comprendere i problemi e sperimentare con possibili soluzioni. Scrivere è il processo attraverso il quale ci rendiamo conto di non capire tutto dell’argomento che vogliamo trattare: addentrandoci nelle sue complessità, impariamo cose nuove e ci rendiamo conto delle enormi opportunità che esistono di raccontare meglio una materia, un tema, una storia.
MATTEO
È stato così anche per Futuri Preferibili. Nell’ultimo numero abbiamo parlato di futuri irresistibili, prendendo in prestito il motto della design consultancy Collins:
Make your future so irresistible, it becomes inevitable.
Dopo un anno di ricerca sul futuro, questo articolo rappresenta probabilmente il punto più avanzato della nostra ricerca. Con Paolo siamo partiti dall’idea di immaginare il futuro “prendendo la rincorsa” nel passato, come se il passato fosse un serbatoio di avvenimenti tra i quali cercare evidenze, pattern, segnali di possibili cambiamenti in corso, utili a definire futuri possibili.
Ma il passato non è soltanto questo: è la nostra memoria, il bacino di tutto quello che è conosciuto – e quindi familiare. In questo senso servirsi del passato per raccontare il futuro ha il potere di rendere familiare qualcosa che per sua definizione è lontana, difficile da capire, a volte anche spaventosa.
PAOLO
Nell’ultimo articolo, per esempio, abbiamo raccontato come la NASA si sia servita di riferimenti culturali del passato – i ritratti dei primi esploratori europei, le tute argentate degli eroi di fantascienza – per rendere tangibile e condivisa l’idea dell’esplorazione dello spazio all’intera popolazione americana. Ci sono altre organizzazioni che stanno facendo cose simili, o che potrebbero farlo?
Per rispondere vorremmo sperimentare un nuovo format, più direttamente collegato al nostro lavoro. Partiremo dal problema concreto di un’organizzazione, tracceremo il suo futuro preferibile e cercheremo riferimenti del passato che possano renderlo più tangibile e familiare. Potremo parlare di qualcuno dei nostri lavori, o di progetti di altri, oppure ancora potremo fare esercizi su organizzazioni con le quali non abbiamo alcun legame, ma che secondo noi potrebbero beneficiare di un nuovo futuro preferibile.
Crediamo che questo sia un modo per dare concretezza alle nostre speculazioni sul futuro. Esiste un framework per disegnare il futuro preferibile di un’organizzazione? E un modo per renderlo attuabile? Ci eserciteremo per rispondere a questa domanda e qui metteremo a disposizione di tutti il risultato delle nostre riflessioni.
MATTEO
Il vecchio format a cui siamo abituati non scomparirà. Continueremo a scrivere di futuro prendendo la rincorsa nel passato, ma in questo nuovo stile “sceneggiato”, come abbiamo fatto oggi, indicando i nostri nomi in modo che sia sempre chiaro chi dice cosa.
Ultimo, se vi va, fateci sapere che cosa pensate di questa idea e in generale di Futuri Preferibili come l’avete conosciuta finora. C’è spazio nei commenti, oppure potete scriverci una mail qui. Al prossimo futuro!
Vi racconto una cosa che mi ha detto un grande milanese d'adozione, James Bradburne, direttore uscente della Pinacoteca di Brera. Incontrando un gruppo con cui avevo organizzato una visita, cominciò a parlare del ruolo del museo nella società e ci disse che oggi si parla molto di migranti, ma dovremmo essere consapevoli che in un certo senso siamo tutti migranti, se non altro perché siamo in viaggio da un passato che conosciamo verso un futuro che non conosciamo. E del resto molti dei nostri nonni e bisnonni sono stati emigrati con le valigie di cartone e poco più. Dunque, questo che c'entra con il museo? Il museo è il posto dove veniamo a fare le valigie per il nostro viaggio verso il futuro. Una definizione che mi è rimasta non solo in mente ma nel cuore, e uno dei motivi per cui in ogni città dove viaggio vado a visitare almeno un museo.
Sono molto curioso di questo anno 2 di FP!