In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo. Andiamo?
Noi siamo qui
Per cominciare, un’avvertenza: questa newsletter NON è stata scritta da un’Intelligenza Artificiale. Ci sembra doveroso specificarlo, dato il proliferare, nell’ultima settimana, di post e articoli redatti da ChatGPT, il modello linguistico artificiale allenato da OpenAI.
Se siete tra i pochi che non sanno ancora cosa sia, il consiglio migliore che possiamo darvi è: provatelo. È una sorta di chatbot che dialoga in modo estremamente realistico con gli esseri umani. Tanto che – dopo averci giocato un po’ – la tentazione di arrendersi è forte: il momento tante volte previsto dalla fantascienza è arrivato. Le macchine hanno vinto. Non ci resta che smettere di scrivere.
L’idea della resa ci ha fatto venire in mente un episodio della serie Boris, quando Biascica, depresso e vittima di attacchi d’ansia, riceve da Duccio un consiglio illuminante:
“Non leggere più niente, chiuditi a riccio.”
Smetti di leggere, dice Duccio: non complicarti la vita cercando di capirla.
Smetti di scrivere, ci suggerisce ChatGPT: non complicarti la vita cercando di raccontarla, lascia fare a noi intelligenze artificiali.
In effetti, ChatGPT è un’intelligenza artificiale piuttosto evoluta. A partire da poche indicazioni è in grado di suggerire idee, impostare dialoghi, elaborare concetti e scrivere interi articoli. È capace di adattare il proprio stile e il proprio tono di voce. Propone diverse varianti di uno stesso testo. Scrive in modo fluido. Fa meno errori di tanti umani.
Insomma, la sua ambizione di prendere il nostro posto è fondata.
Flashback
Nel 1930 l’economista John Maynard Keynes fece una di quelle previsioni audaci che piacciono a noi. I suoi nipoti, disse, grazie alla tecnologia non avrebbero lavorato più di quindici ore a settimana. Era il suo futuro preferibile: a quasi cent’anni di distanza, che cosa resta di quella previsione?
Ogni volta che un’innovazione tecnologica irrompe con forza nelle nostre vite, tendiamo naturalmente a distribuirci in due fazioni:
gli entusiasti, che prospettano scenari in cui la tecnologia prenderà il posto degli esseri umani, liberandoli;
gli scettici, che rifiutano qualsiasi idea di un futuro dove le macchine possano interagire con noi e svolgere il nostro lavoro.
ChatGPT ha riacceso il dibattito. Alcuni pensano che la previsione di Keynes si stia per realizzare, mentre altri si barricano dietro al rifiuto totale, rifugiandosi nella vecchia idea umanistica che “la tecnologia non sa scrivere, non sa davvero pensare, non ha un’anima bella e profonda come la nostra”.
Tuttavia, il punto non è decidere se l’intelligenza artificiale pensa e sente come noi. Il punto è se ci convince di saperlo fare. Anzi il problema, più precisamente, siamo noi e la nostra disponibilità a lasciarci convincere. In un certo senso, sia gli entusiasti sia gli scettici valutano l’intelligenza artificiale con un criterio che secondo noi è sbagliato: ci somiglia, non ci somiglia. Può sostituirci, non può sostituirci. E a volte sembra che, attribuendo timorosi o speranzosi questo potere alle macchine, non vediamo l’ora di farci sostituire. Come Duccio.
A nessuno però viene in mente che la potenza dell’intelligenza artificiale possa significare non macchine più simili agli umani. Ma umani che somigliano meno alle macchine.
Fast Forward
È già da un po’ che noi umani cerchiamo di somigliare alle macchine. Facciamo di tutto per ingraziarci le intelligenze artificiali e i loro algoritmi. Assecondiamo i loro gusti. Parliamo come parlerebbero loro. Scriviamo perché possano leggerci e indicizzarci più facilmente. Creiamo contenuti che possano essere di loro interesse. Compriamo quello che ci suggeriscono.
Se continuiamo a giocare questa partita, è evidente che la nostra intelligenza naturale avrà vita dura contro quella artificiale.
Ma non è detto che la partita debba rimanere questa, per sempre.
La tecnologia ha sempre avuto il ruolo di rendere obsoleti i lavori mediocri del passato. È successo con la macchina da scrivere, il computer, Internet e altre decine di innovazioni tecnologiche.
Se oggi esiste un’intelligenza artificiale capace di scrivere un articolo di qualità media in pochi secondi, significa che scrivere articoli di qualità media sarà d’ora in poi uno spreco di tempo. Se quella stessa intelligenza artificiale sa assecondare gli algoritmi meglio e più velocemente di quanto possa fare un essere umano, significa che dedicheremo il nostro tempo a qualcosa di migliore.
Eccolo il nostro futuro preferibile potenziato dall’intelligenza artificiale: ora più che mai dovremo occuparci di tutto quanto l’intelligenza artificiale non può fare. Ribadire le ragioni della qualità contro quelle della quantità. Trovare forme di bellezza diverse da “quello che piace all’algoritmo”. Scrivere bene anziché scrivere per Google. Cercare forme di collaborazione contro la polarizzazione e le contrapposizioni tossiche alimentate dai social. Preferire il fact based al clickbait. E così via…
Nei nostri test con ChatGPT, abbiamo scoperto che c’è una cosa su cui è ancora impacciata: immaginare il futuro. L’algoritmo si nutre di tutto ciò che esiste già, il suo sapere è stupefacente, ma è radicato in ciò che esiste già. È un sapere del passato, per quanto recentissimo.
L’immaginazione invece è un tratto distintivo dell’essere umano, fondamentale per costruire nuove visioni condivise della realtà. A questo e ad altre decine di “nuovi lavori” potremo dedicare il meglio del nostro tempo e delle nostre energie.
Nel nostro futuro preferibile andremo a caccia di umanità come nuovi blade runner, rispondendo in modo creativo al perfezionarsi dell’intelligenza artificiale. Sfideremo i ragionamenti matematici, logici, astratti, implacabili degli algoritmi per aprire spazi per l’inatteso, l’imprevedibile, il non ancora pensato. Ascolteremo le storie che ci propongono e proveremo ad andare un passo più in là, immaginando racconti nuovi.
Insomma, non è ancora arrivato il momento di arrendersi. Non è ancora arrivato il momento di chiudersi a riccio e smettere. Non è ancora arrivato il momento, per gli umani, di dimettersi. C’è ancora molto da fare: il lavoro vecchio sarà più facile, ma il nuovo dovrà essere migliore.
Al prossimo futuro,
Paolo e Matteo
(Ah, la newsletter non è stata generata da un'intelligenza artificiale, ma l'immagine di copertina ovviamente sì!)
@Matteo @Paolo sul filone di quanto trattato nel vostro articolo, ho recentemente ascoltato il Podcast di Noam Brown ospite da Alex Friedman.
Nella loro chiacchiera vengono condivisi spunti interessanti sui modelli di linguaggio AI, ‘game theory’ e il futuro delle negoziazioni strategiche tra AI e gli esseri umani.
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https://podcasts.apple.com/gb/podcast/lex-fridman-podcast/id1434243584?i=1000589092006