In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Andiamo?
Noi siamo qui
La storia di oggi inizia con un’avventura personale. All’inizio di quest’anno Cecilia, Sergio, Simone ed io (Matteo) abbiamo co-fondato Propaganda Alimentare. E Paolo ci ha dato una mano raccontando la storia dell’ideologia mangiabile, che comincia dalla forma del carciofo.
Si tratta, come diciamo noi, di un agriturismo urbano: ristorante e laboratorio per la lavorazione del cibo nel centro di Milano.
Nonostante sia in città, lo abbiamo pensato come un luogo lontanissimo dalla filiera industriale del cibo.
L’offerta alimentare è composta per il 70% da prodotti di origine vegetale e per il restante 30% da cacciagione di selezione e carne da allevamento allo stato brado. Tutto arriva da produttori di prossimità, che conosciamo e di cui possiamo verificare l’impegno, la qualità e il metodo di lavoro.
Questo progetto nasce per rispondere a due sfide importanti legate al mondo della ristorazione, e più in generale al nostro rapporto con il cibo:
La filiera alimentare che connette i produttori al consumatore finale si compone di una serie di intermediari disposti in maniera lineare, che ad ogni passaggio producono scarto, allungano i tempi, riducono la freschezza del prodotto e fanno crescere i prezzi. In una filiera di questo tipo la ristorazione si trova nella stessa posizione del consumatore al dettaglio, dal momento che nella maggior parte dei casi, o per la maggior percentuale delle materie prime, è costretta ad acquistare prodotti già manipolati.
Nella ristorazione, soprattutto in Italia, vengono costantemente celebrate la tecnica culinaria e la creatività, ma quasi mai viene promossa la cultura di un’alimentazione diversa, costruita su un’intelligente gestione del prodotto, su scelte alimentari positive e sulla capacità di ridurre lo spreco alimentare.
In questo scenario, Propaganda Alimentare vuole farsi custode del buon cibo, non solo per la qualità di ciò che mette nel piatto, ma per il controllo e la consapevolezza riguardo a tutto ciò che succede prima che il cibo diventi “un piatto”.
Per fare questo abbiamo deciso di “sfilarci dalla filiera”, e quindi:
- compriamo i prodotti alimentari all’origine, da produttori selezionati per qualità, indipendenza, valore per il territorio e promotori di buone pratiche;
- li lavoriamo, conserviamo, stagioniamo e fermentiamo rendendoli disponibili a lungo, riducendo gli sprechi e aumentandone il valore;
- li utilizziamo nel ristorante e in futuro li venderemo nello shop.
Propaganda Alimentare rappresenta un’applicazione concreta, su piccola scala, del futuro preferibile che immaginiamo per la filiera del cibo. Di quale futuro parliamo? Andiamo con ordine, cominciamo dal passato.
Flashback
Prima del XIX secolo la filiera alimentare era limitata al tessuto locale. La maggior parte delle persone viveva nelle campagne ed era autosufficiente; gli abitanti delle città frequentavano i mercati pubblici, oppure avevano i propri orti e giardini. Il trasporto del cibo era ridotto e le lavorazioni si limitavano perlopiù all’essiccazione, la salatura, l’invasettamento e la conservazione in salamoia.
Nel XIX secolo la rivoluzione dei trasporti ha cambiato la situazione, estendendo la scala della filiera alimentare. Lo sviluppo delle tecniche moderne di refrigerazione, abbinato alla disponibilità di canali e ferrovie, consentiva di trasportare carne, frutta e verdura fresca in territori anche lontani da quelli di origine, e di mettere le materie prime a disposizione di più persone a prezzi inferiori.
Nel XX secolo nascono i primi giganti della lavorazione, come le americane Kellogg’s e Heinz, che producono prodotti confezionati su larga scala. Dagli anni ’20 in poi la produzione di massa immette sul mercato più prodotti di quelli necessari a soddisfare il reale bisogno delle persone: così marketing e pubblicità diventano le armi con le quali cercare di conquistarsi il budget dei consumatori.
Negli anni ‘30 nascono i primi ristoranti economici e negli anni ‘50 i primi fast food, con la catena McDonald’s: a questo punto la trasformazione radicale del nostro rapporto con il cibo è compiuta. Da questo momento in poi mangiare cose di cui ignoriamo la provenienza e il processo di produzione diventa quasi la norma per chi vive nella parte industrializzata del mondo.
Lungo questo percorso evolutivo il potere nella filiera si sposta dall’azienda agricola verso le aziende “consumatrici” di cibo, quelle cioè che processano e rivendono i prodotti ottenuti dalle fasi precedenti della filiera, le fasi in cui si coltivano, allevano e producono gli alimenti. Insieme al potere, si spostano anche i costi: l’80% e più del prezzo finale di un prodotto alimentare è rappresentato da costi che si creano dopo la sua uscita dall’azienda agricola.
Da qui alla globalizzazione della filiera il passo è breve. Oggi consumiamo enormi quantità di cibo proveniente dall’estero, disponibile oltre le stagioni, a prezzi inferiori rispetto ai prodotti locali e nazionali. Con il passaggio alla globalizzazione la filiera alimentare si orienta prevalentemente verso il mercato, con l’unico obiettivo di diventare sempre più efficiente e competitiva, abbassando i costi di produzione e fornendo al maggior numero possibile di consumatori prodotti altamente trasformati e basati su ingredienti senza quasi più alcuna specificità locale.
Anche se oggi le filiere locali vivono un nuovo rinascimento, il modello globale continua a dominare il modo in cui il cibo viene prodotto e distribuito in molte parti del mondo occidentale.
Fast forward
Quando invitiamo ospiti a cena, offrire più cibo di quello che possiamo effettivamente consumare è storicamente considerato un gesto di attenzione e generosità. Per molto tempo lasciare parte del cibo nel piatto è stato percepito come un atteggiamento aristocratico, di chi non è assediato dal bisogno e ha sconfitto la minaccia della fame.
Questi codici culturali erano legati a una civiltà che, dopo aver combattuto per secoli la scarsità di risorse, celebrava la sua vittoria. Oggi il rovesciamento del paradigma è totale, e fare attenzione agli sprechi, consumare e comprare responsabilmente, è l’atteggiamento che distingue chi vuole appartenere alla parte evoluta della società.
Eppure cambiare le nostre abitudini personali, consumando solo il giusto e imparando a conoscere - e quindi a scegliere - con cura quello che arriva nel nostro piatto non basterà a risolvere i problemi che abbiamo con il cibo. Dobbiamo ripensare la filiera alimentare nel suo complesso, e includere questo ripensamento nel contesto più ampio della resilienza climatica.
Per questo, nel nostro futuro preferibile la filiera globale e industrializzata lascia il posto a una filiera più corta e locale, in cui i produttori hanno una connessione diretta con le persone che consumano i loro prodotti.
I mercati locali, gli hub di distribuzione, i luoghi di sperimentazione come Propaganda Alimentare connetteranno le persone con il cibo locale e regionale. Questo garantirà un margine maggiore ai produttori, che potrà essere reinvestito in metodi e tecnologie di produzione più sostenibili.
Le persone potranno conoscere e apprezzare meglio il lavoro che serve per portare il cibo al mercato, perché mercati, hub e luoghi di sperimentazione diventeranno anche piattaforme informative. E quindi renderanno trasparenti i processi e più visibili i passaggi che vanno dall’origine dei prodotti al momento del consumo.
Queste piattaforme avranno anche un altro ruolo fondamentale, di natura sociale: creare connessioni tra le persone, farle sedere di nuovo intorno a un tavolo insieme, per coltivare relazioni umane oltre che frutta e verdura.
Questo sistema diventerà ancora più efficace quando al suo sviluppo contribuiranno anche le istituzioni, i comuni e le città che metteranno a disposizione infrastrutture e incentivi per supportare l’interesse crescente verso una filiera alimentare locale e regionale.
Trasformare il modo di mangiare infatti non trasforma solo quello che c’è nel piatto: trasforma il modo di trasportare e spostare le merci, riduce i luoghi dello smistamento e della manipolazione, trasforma gli spazi condivisi.
Gli effetti della filiera corta sul lungo periodo saranno visibili soprattutto fuori dal ristorante: cambieranno il modo di vivere le città, completando l’idea della città del futuro, la città preferibile in cui non siamo più prigionieri di spazi progettati senza pensare alle persone, ma ci spostiamo più facilmente e più liberamente, a piedi o in bicicletta, magari senza dover fare lo slalom tra i rifiuti, perché la filiera corta avrà ridotto anche quelli.