Affetti da una strana forma di tecnocrazia*
Tra apocalittici e integrati, una terza via per interpretare l'innovazione
In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
Un paio di settimane fa Marc Andreessen, stimato informatico e imprenditore americano, fondatore della VC firm Andreessen Horowitz e autore del famoso articolo del 2011 Why software is eating the world, ha pubblicato sul blog della sua azienda il Manifesto dei Tecno-Ottimisti.
Andreessen si avventura in una lunga ode alla tecnologia come motore del progresso e della crescita della società, che è il fine ultimo che l’uomo tecno-ottimista deve perseguire.
Dalla mancanza di crescita derivano tutti i problemi che affliggono l’umanità: stagnazione, conflitti, degrado, collasso e morte.
La tecnologia secondo Andreessen rappresenta l’unica fonte perpetua di crescita, la via per fare di più con meno e superare i limiti fisici dell’ambiente.
Nel corso della storia la tecnologia ha già sconfitto la fame, l’oscurità, il caldo, il freddo, la povertà, l’isolamento, la pandemia. E in futuro esisterà sempre una tecnologia in grado di risolvere qualsiasi problema che l’umanità si troverà ad affrontare.
Andreessen individua i nemici del progresso continuo guidato dalla tecnologia, affermando che la nostra società è oggetto di una campagna di scoraggiamento di massa che si presenta con nomi diversi, tra i quali “rischio esistenziale”, “sostenibilità”, “ESG”, “obiettivi di sviluppo sostenibile”, “responsabilità sociale”, “capitalismo degli stakeholder”, “etica tecnologica”, “gestione del rischio”, “decrescita”, “limiti della crescita”.
È un approccio che punta tutto sulle capacità e i desideri degli individui: solo se liberati dai vincoli della collettività, i singoli raggiungeranno risultati che beneficeranno tutti. È la tesi classica del liberismo, e l’atteggiamento tipico della cultura statunitense, intrisa di “spirito della frontiera”. Una cultura che ha dato tanto alle società avanzate, ma ha avuto anche alti costi sociali e umani.
E la domanda che dovremmo farci adesso è: ci serve un nuovo Far West tecnologico per uscire dalle crisi che abbiamo di fronte?
Flashback
È vero che la tecnologia è stata fin dalle origini fondamentale per l’evoluzione dell’umanità. Ha spinto in avanti le frontiere della conoscenza, ha migliorato l’economia e con essa il benessere collettivo. È vero che molte cose che diamo per scontate e ci sembrano naturali oggi sono in realtà rivoluzionari strumenti tecnologici, dalla ruota al fuoco, fino alla scrittura. È vero che senza tecnologia non esisterebbe l’umanità per come la conosciamo.
È vero, soprattutto, che negli ultimi due decenni abbiamo guardato con entusiasmo alla più recente rivoluzione tecnologica, quella che ci ha portato a internet e alla cultura digitale. Abbiamo ammirato tutto quanto nasceva intorno alla Silicon Valley, perché sentivamo che da lì stava arrivando una cultura nuova, un’idea nuova dell’umanità. Perfino un modo nuovo di stare al mondo, più aperto, collaborativo e partecipato.
Abbiamo amato e idolatrato gli innovatori, abbiamo riempito le nostre presentazioni con le loro citazioni brillanti, abbiamo sussultato al nascere di ogni nuovo prodotto e di ogni nuova piattaforma. Abbiamo creduto che per cambiare davvero fosse anche necessario distruggere le abitudini e lo status quo.
Abbiamo accordato agli eroi del digitale un credito inesauribile, una fiducia che non sempre hanno dimostrato di meritarsi.
Dopo vent’anni del loro dominio, infatti, la cultura della Silicon Valley ha generato trasformazioni travolgenti e una enorme quantità di ricchezza. Ma ha anche deteriorato molti aspetti della società: ha esasperato la polarizzazione, amplificato i discorsi d’odio, influenzato in modo non sempre trasparente la politica, ispirato comportamenti a volte dannosi, soprattutto nei più giovani. Ha reso possibile un sistema di estrazione del valore dalle interazioni umane e in alcuni casi di autentica sorveglianza delle persone.
Insomma, molte delle innovazioni che abbiamo amato di più e per le quali abbiamo fatto il tifo hanno finito col creare nella società proprio il tecno-scetticismo e la sfiducia nella tecnologia che oggi porta Andreessen a scrivere il manifesto del tecno-ottimismo.
È evidente che qualcosa si è rotto nel rapporto tra le persone e le tecnologie.
In futuro dovremo capire come ricucire questo rapporto. Come accogliere e proteggere i bisogni delle persone senza perdere il potenziale progressivo e trasformativo dell’innovazione tecnologica.
Fast forward
Di qua dall’Oceano, nella cultura europea, si tende a pensare quello che ha scritto Paul Worthington rispondendo al Manifesto di Andreessen: la tecnologia non esiste a prescindere dalle persone, e non è estranea alle regole della società. Esiste per essere al servizio delle persone e della società.
I vantaggi della tecnologia dovrebbero essere distribuiti, non un’esclusiva di pochi attori potenti e super influenti. La tecnologia non opera nel vuoto, opera dentro un meccanismo sociale che ha delle regole e dei vincoli. Il progresso ha vantaggi indiscutibili ma anche effetti collaterali che la società deve riconoscere e cercare di ammortizzare.
La contrapposizione però tra il Far West degli individui lasciati liberi di fare ciò che vogliono, e la società che controlla, regola, tassa e imbriglia ci sta un po’ stretta. Così come ci sta stretta la solita contrapposizione tra apocalittici e integrati, che Umberto Eco aveva creato, per criticarla, già nel 1964.
Nel nostro futuro preferibile si dovrà rispondere a una domanda fondamentale alla quale nel Manifesto non c’è risposta: ok la tecnologia, ma per fare cosa?
Duemila anni fa l’eruzione del Vesuvio che ha travolto Pompei ed Ercolano ha sorpreso un uomo che sistemava la sua biblioteca. Quando la biblioteca è stata ritrovata tra le rovine, era impossibile leggere il contenuto dei rotoli inceneriti senza distruggerli. Qualche settimana fa per la prima volta, grazie a nuove strumentazioni tecniche, un gruppo di ricerca è stato in grado di leggere una parola dei testi contenuti nei rotoli: porpora. Una bella parola, preziosa e luminosa. Per i ricercatori la strumentazione tecnologica è servita a raggiungere lo scopo di una vita, anzi l’obiettivo inseguito con passione da più generazioni di studiosi, che hanno collaborato negli anni in una specie di sfida collettiva.
Ci sembra una bella metafora dello scopo della tecnologia.
L’innovazione tecnologica non deve per forza svelare mondi futuristici e stravolgere l’umanità. Deve aiutarci a scoprire ciò che siamo, ciò che abbiamo dentro e non siamo ancora riusciti a leggere. Deve supportarci nel nostro tentativo di raggiungere gli scopi che ci siamo dati, di affrontare le sfide che sentiamo come più urgenti e necessarie. Deve farci trovare la nostra porpora: la parola che ci fa intravedere saperi nuovi, interi mondi di conoscenza ancora da scoprire. Deve dare forza alle nostre passioni, i nostri desideri, il nostro bisogno di legami e relazioni significative.
Alle affermazioni senza ombre degli integrati, e agli allarmismi degli apocalittici, opporremo le domande di una terza categoria: gli ostinati. Ostinati come i ricercatori che non hanno rinunciato all’idea di poter leggere i papiri sepolti dall’eruzione. Quelli che si ostinano prima di tutto a voler capire, si ostinano a non prendere una posizione schierandosi da una o dall'altra parte, pretendendo di conoscere la soluzione al problema. Piuttosto gli ostinati sono quelli che cercano di trovare problemi e domande nuove: per affrontare quali sfide useremo la tecnologia, per costruire quale società? In che modo la tecnologia potrà mettersi al servizio della dedizione, della passione, dei desideri delle persone, della loro volontà di trasformarsi e trasformare il mondo?
Quando sapremo rispondere a queste domande, potremo tornare tutti a essere tecno-ottimisti.
*Il titolo allude a una canzone incredibilmente anni duemila.
L’avete riconosciuta vero?
Come sempre un numero bomba
Grazie, mi sento meno sola (e più ostinata).