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Quando è stata l’ultima volta che hai sentito la parola “creatività” e a che cosa l’hai associata?
Generalmente, parlando di creatività, pensiamo all’arte: la creatività è l’abilità che serve per dare forma a una poesia, a un pezzo di musica, a un dipinto, a una sceneggiatura. E di certo è vero, anche se la creatività non è soltanto questo: la capacità di immaginare il nuovo ci è richiesta in quasi tutto ciò che facciamo, nelle nostre attività quotidiane, nella risoluzione dei problemi, nel lavoro.
Stiamo leggendo un libro che si chiama The Creative Act, e a scriverlo è stato Rick Rubin, uno dei più importanti produttori musicali al mondo. Rubin sostiene che la creatività è una caratteristica universale, riguarda tutti gli umani e perfino tutti gli esseri viventi, e fa parte di ogni nostro gesto quotidiano. Esistere è un atto creativo. E creare non significa generare qualcosa dal nulla, ma intercettare e portare alla luce qualcosa che esiste e pulsa nell’universo.
L’idea è molto suggestiva, anche se continua a situare la creatività a un livello ancora molto alto, filosofico ed esistenziale. Eppure ci aiuta a capire che la creatività è una forza che sta dentro le cose, e che serve quotidianamente a trasformare ciò che facciamo. Modifica la nostra personalità, rende significativo il nostro lavoro, ci mette in connessione con le comunità di cui facciamo parte.
Mentre il lavoro si automatizza, i processi diventano standard, modelli e framework sembrano poter essere replicati all’infinito, la nostra capacità di innovare, creare, rigenerare le cose che facciamo diventa sempre più importante e strategica. Trovare nuove soluzioni ai problemi, formulare domande nuove, elaborare punti di vista inediti sarà il solo modo che avremo per restare rilevanti, e per continuare a far progredire il mondo secondo un ritmo umano, tenendo conto delle esigenze umane.
Flashback
Nel corso dei secoli gli umani si sono sempre dati molto da fare per cercare di definire la creatività. È una forma di ispirazione divina, che confina con la follia, come voleva Platone? Oppure è un modo di riprodurre le regole intrinseche della natura, come voleva Aristotele? È la facoltà che libera gli umani dalla loro dipendenza dall’ambiente? O è un’elaborazione delle nostre pulsioni inconsce e dei nostri traumi? È la cosa che davvero ci distingue dalle altre creature, o è qualcosa che condividiamo con tutto il creato?
Guardando alle tantissime definizioni della creatività che si sono avvicendate nel corso dei secoli, è sempre visibile la tensione tra due poli: la creatività come evento misterioso, basato sull’intuizione e sulla trasfigurazione della realtà, e una concezione più pragmatica e fattuale della, come attività di manipolazione del reale e dei suoi elementi.
La definizione che a noi sembra più significativa è quella data da un matematico, Henri Poincaré, intorno al 1906. La spiega bene Annamaria Testa, che da Poincaré ha tratto il nome del suo blog “nuovo e utile”, e che è una delle figure che meglio ha incarnato la capacità di riflettere sulla creatività senza mai staccarsi dalla pratica e dalle sue implicazioni concrete.
Secondo Poincaré la creatività è l’arte di connettere elementi esistenti in combinazioni nuove, appropriate ed efficaci.
La creatività come arte combinatoria, dunque, ma non casuale o automatica: l’essenza del gesto creativo consiste proprio nello scegliere le combinazioni appropriate. Un risultato nuovo ha valore quando, stabilendo un legame tra elementi noti da tempo, ma fino ad allora sparsi e in apparenza estranei gli uni agli altri, mette ordine, immediatamente, là dove sembrava regnare il disordine.
Inventare significa escludere le combinazioni inutili e scegliere soltanto quelle utili, che spesso derivano dalla connessione tra elementi anche molto distanti.
Creare, però, non significa soltanto rompere le regole di ciò che esiste, significa superarle e inventare regole nuove. Per questo la creatività si basa sempre sulla conoscenza solida dell’esistente, sulle competenze e sullo studio.
La creatività, insomma, non ha a che fare con l’intuizione del genio che crea dal nulla: parte dalla realtà, dalla necessità di risolvere un problema, di sciogliere un vincolo, di modificare il mondo e di rendere più vivibili, più ospitali e accoglienti gli ambienti in cui viviamo.
Spesso parlando di creatività commettiamo l’errore di confonderla con la fantasia, con l’ispirazione artistica, con il talento di qualche individuo isolato e stravagante. Bruno Munari però ha spiegato bene, e una volta per tutte, la differenza tra creatività e fantasia nel suo libro Artista e designer.
La fantasia è la facoltà che ci permette di inventare immagini mentali diverse dalla realtà. La creatività è una capacità produttiva in cui fantasia e ragione sono collegate, e il risultato che si ottiene è sempre realizzabile concretamente.
La distinzione tra fantasia e creatività per Munari coincide con quella tra artista e designer: l’artista lavora da solo, crea pezzi unici, e lo fa per sé stesso o per una élite. Il designer lavora in gruppo, crea pezzi riproducibili, e la fa per il pubblico, ovvero per più persone possibile.
Soprattutto: l’artista crea per seguire una sua esigenza espressiva, non gli importa - almeno in teoria - di essere seguito o compreso; il designer crea per risolvere un problema collettivo, e la sua missione più importante è proprio quella di essere compreso.
Ed è questo il tipo di creatività di cui abbiamo più bisogno in questo momento: non perché l’arte non sia importante, ma perché abbiamo di fronte problemi e interrogativi collettivi che richiedono risposte “nuove e utili”.
Fast forward
Ecco perché sentiamo pronunciare così spesso la parola “creatività”. Perché anche se a volte facciamo confusione, sappiamo che la nostra società ha bisogno di questo tipo di immaginazione trasformativa per dare forme nuove a ciò che facciamo, e migliorare il nostro modo di lavorare, di crescere, di vivere insieme.
Le più grandi organizzazioni, i brand che dominano il nostro immaginario, mettono la creatività ovunque nei loro processi, e a volte la collocano all’origine della loro esistenza, molto prima dell’ideazione dei prodotti o dell’organizzazione del flussi. E non solo perché le grandi aziende nascono spesso da una storia, da un’idea di come dovrebbe essere il mondo, ma perché in tutto quello che fanno, dal design dei prodotti ai modelli di business, superano le regole esistenti per crearne di nuove.
Mentre la complessità dei fenomeni sociali, economici e culturali aumenta, è un’illusione pensare che si possa governare il futuro in modo esclusivamente analitico, razionale, fattuale. La strategia, che spesso afferma di essere una disciplina scientifica basata su ricerca e analisi, riesce a diventare davvero trasformativa quando mette in campo l’immaginazione, quando aiuta le organizzazioni a vedere le cose in modo diverso, quando riesce a muovere al cambiamento anche grazie alle emozioni.
La creatività e l’immaginazione hanno un reale potere trasformativo, molto più di quanto ne abbiano spesso i grafici, le tabelle, gli schemi e la proliferazione delle slide.
Non è un caso se Collins, da sempre uno degli studi di design più evoluti nel panorama internazionale, non si racconta più semplicemente come un’agenzia creativa, e nemmeno come un design studio, ma come una “business transformation agency”. Perché la creatività non è soltanto un modo di rendere attraente un prodotto o un brand. La creatività è la forza che può trasformare un’organizzazione nei suoi aspetti vitali, ovvero nel modo di fare business, di stare sul mercato, di distinguersi dai competitor.
Un progetto creativo, dicono da Collins, comincia sempre in biblioteca: perché si parte sempre dalle forme che un problema ha preso nella storia, nella mitologia, nella letteratura. Si parte dall’immaginazione del passato, e si finisce immaginando un futuro possibile, una possibile traiettoria lungo la quale avviene la soluzione del problema, e la trasformazione dell’organizzazione che lo sta affrontando.
Il futuro preferibile della creatività, dunque, riguarda tutti: organizzazioni, agenzie, consulenti, persone, famiglie, sistema educativo. E ognuno di questi attori in campo è chiamato a ripensare il ruolo che la creatività ricopre nei propri processi e nelle proprie modalità organizzative.
ORGANIZZAZIONI
Imprese e istituzioni dovranno smettere di confinare la creatività nei dipartimenti di comunicazione, nell'area marketing o nella sezione media. Perché un logo o una campagna pubblicitaria devono essere creativi, mentre tutto quanto riguarda il business e le operazioni continua a essere grigio?
La creatività può spingersi molto oltre la comunicazione di brand e la pubblicità: il pensiero innovativo ridisegna sistemi e processi, permette di cogliere nuove opportunità, cambia il modo in cui le persone collaborano, e in cui le organizzazioni interagiscono con chi sta all’esterno.
La trasformazione creativa ha effetti molto di più duraturi di una singola campagna, di un prodotto o di un’idea. Non è un evento occasionale, ma un atteggiamento permanente, una riflessione collettiva sui metodi e gli obiettivi di un’organizzazione: siamo abbastanza ambiziosi? Stiamo chiedendo abbastanza ai nostri partner? Siamo capaci di riconoscere un’idea trasformativa? Siamo attrezzati per eseguirla senza snaturarla e diminurne l’impatto?
Portare la creatività in ogni azione, in ogni elemento del proprio DNA è complesso, può essere faticoso: ma ha un ritorno concreto, ha conseguenze economiche e commerciali misurabili. Un mindset creativo aiuta ad affrontare i problemi complessi e le sfide esistenziali che sempre di più leader e organizzazioni si trovano ad affrontare.
AGENZIE, STUDI, CONSULTANCY
Finora la creatività è stata associata al “cosa” le agenzie e gli studi di design fanno, nella migliore delle ipotesi al “perché”. Ora si apre l’opportunità, un po’ come sta facendo Collins, di ricostruire l’intera proposta di valore di un'agenzia a partire dalla funzione della creatività: considerare la creatività come un mezzo, uno strumento di cui ci serviamo (how) per produrre tutto quello che è necessario (what) per risolvere problemi che hanno a che fare con il business, la trasformazione delle organizzazioni, il coinvolgimento delle persone (why).
Le agenzie e gli studi devono prima di tutto cogliere l’opportunità di ricoprire un nuovo ruolo, smettere di definirsi in base a quello di cui si occupano e ai servizi che offrono, per iniziare a parlare il linguaggio del business. E quindi ampliare il loro portafoglio di servizi per rispondere a sfide che prima non consideravano, ma che sono le priorità di chi prende le decisioni in un’organizzazione.
FAMIGLIE E SISTEMA SCOLASTICO
Dovremo riportare la creatività e l’immaginazione nelle nostre case e nelle scuole. Sentiamo continuamente lamentare l’inadeguatezza del sistema scolastico rispetto alle forme della società attuale. E questo perché continua a impartire nozioni da imparare a memoria, a chiedere risposte corrette, a valutare performance e a creare percorsi standardizzati. Si ostina a riprodurre forme di conoscenza e modelli di ragionamento che non sono pensati per cercare problemi e individuare le soluzioni, che è proprio, come abbiamo visto, il compito della creatività.
Conoscenza e creatività dovranno muoversi insieme. La conoscenza nutre l’immaginazione, che a sua volta crescendo cerca nuova conoscenza. È su questo ciclo di scoperta e apprendimento che dovrebbe basarsi l’educazione del futuro. Una studentessa creativa, abituata a fare ricorso all’immaginazione, sarà più libera di correre rischi, guidare gli altri, elaborare opinioni, anziché preoccuparsi di dare soltanto risposte corrette. E allo stesso modo un insegnante creativo sarebbe capace di adattare di più i suoi metodi ai bisogni emergenti di studenti e studentesse.
Che si tratti di individui in formazione, di professionisti del design o di leader e organizzazioni, la capacità di esplorare i problemi, fare e farsi domande, combinare elementi distanti e apparentemente non correlati, cercare nuove soluzioni, sarà determinante in futuro. Abbiamo bisogno di creatività, non per diventare tutti artisti o tutti poeti, ma perché le sfide che abbiamo di fronte richiedono la capacità trasformativa di inventare le regole nuove in base alle quali lavoreremo, cresceremo e vivremo insieme.