In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
La scorsa settimana, dopo aver letto il Manifesto Tecno-Ottimista di Marc Andreessen, scrivevamo che l’ottimismo non sta tanto nella fiducia cieca nei confronti della tecnologia, quanto nella possibilità di usarla in modo significativo. Oggi vorremmo continuare a ragionare sull’ottimismo, al di là della tecnologia.
L’ispirazione ci viene dal rebranding di LG firmato Wolff Olins e soprattutto dalla campagna di lancio della nuova identità. Parliamo del brand film Life’s Good When You Dive In Smile First, realizzato da TBWA\Chiat\Day e diretto da Nicolai Fuglsig.
Il video è un racconto semplicissimo e proprio per questo molto potente, che mostra cosa succede quando decidiamo di provarci. Quando accettiamo di andare incontro alla vita e alle sue possibilità.
È la storia di un eroe per caso, che sceglie di alzare la testa, uscire dalla propria comfort zone, e muoversi con fiducia verso l’orizzonte. Ci è sembrata una rappresentazione perfetta di una visione ottimistica della vita: se scegli di affrontare le sfide che trovi sulla tua strada, se decidi di viverla a pieno, life is good. La vita vale la pena di essere vissuta. E può aprire scenari inattesi e possibilità inesplorate.
Ci è sembrato un sintomo: forse l’ottimismo sta reclamando un posto nuovo nella nostra società. E un altro indizio in questa direzione lo abbiamo trovato nella serie Ted Lasso, prodotta da Apple TV+. Il protagonista della serie, Ted Lasso, è un allenatore di football americano che si trasferisce in Inghilterra per allenare una squadra di calcio. Non sa nulla di calcio, ed è stato chiamato proprio per questo: la presidente del club vuole mandare in rovina la squadra che era stata del suo ex marito.
Ted viene accolto con scetticismo e ironia, è destinato a essere deriso e osteggiato da tutti, dai giocatori ai giornalisti. Lasso però è un uomo ostinatamente, quasi ottusamente ottimista: disinnesca tutti i conflitti, vede solo il buono nelle persone, rovescia ogni attacco nei suoi confronti in un’occasione di dialogo. E così, diffondendo fiducia e scoraggiando ogni forma di negatività, Coach Lasso migliora tutto ciò che tocca, dai risultati della squadra alle relazioni tra le persone.
La scrittura della serie gioca con il cliché narrativo del conflitto, e rovescia rapidamente in positivo tutte le situazioni drammatiche o negative. Senza per questo risultare smielata e stucchevole, ma anzi funzionando perfettamente, trasformando l’ottimismo in una dinamica coinvolgente e avvincente. In un panorama narrativo dominato da personaggi negativi, storie drammatiche, conflitti esasperati, l’irrompere di un personaggio sfacciatamente positivo sembra rivoluzionario. Sembra di assistere a un cambio di paradigma, una tendenza sotterranea che si sta facendo strada, e si manifesta in due aspetti principali:
le persone hanno un grande bisogno di ottimismo, che non è positività cieca o ottusa, piuttosto un modo di affrontare le sfide con la convinzione di riuscire a superarle;
l’ottimismo è contagioso e ha il potere di ispirare gli altri a sognare in grande, credere nel proprio potenziale, perseguire le proprie aspirazioni.
Eppure oggi veniamo da una pandemia globale, affrontiamo quotidianamente le minacce del cambiamento climatico, abbiamo negli occhi le immagini strazianti dei conflitti in Ucraina e Gaza… È possibile essere ottimisti? È possibile che l’ottimismo sia la forza capace di portarci fuori dalle nostre contraddizioni?
Flashback
Era il 2003 quando la catena di negozi di elettronica UniEuro lanciava la campagna “L’ottimismo è il profumo della vita”. Il protagonista era il poeta Tonino Guerra, che al telefono col suo amico Gianni decantava le virtù di una vita vissuta all’insegna dell’ottimismo. È stata una campagna efficace, riconoscibile e memorabile: vent’anni dopo, chiunque la ricorda ancora.
Eppure la filosofia dell’ottimismo offerta dallo spot era poco credibile, per non suonare retorico il messaggio conteneva un sottofondo auto-ironico, quasi a voler smentire sé stesso. E non a caso ha generato un notevole numero di parodie. Funzionava, per essere una pubblicità, ma restava una pubblicità. Non riusciva a diventare un sintomo culturale.
Essere ottimisti del resto è sempre stato scomodo dal punto di vista culturale. Per tutto il secolo scorso è stato difficile essere ottimisti in modo credibile. Le aziende provavano a comunicare ottimismo, tra famiglie felici e bucati perfetti, ma la cultura “seria” diceva cose diverse, andava in altre direzioni. Essere intelligenti significava essere critici, dubitare, e ostentare un certo pessimismo sulle sorti del mondo. Essere ottimisti era un tabù, era cheap, era naïf, una cosa da persone ingenue o in mala fede. Dopo la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale la fiducia nel progresso, nello sviluppo e negli avanzamenti della società era una menzogna da smascherare.
Al massimo il pensiero classico offriva alcune formule per provare a mitigare il pessimismo di fondo: “spes contra spem”, sperare anche quando razionalmente non ci sarebbe nulla da sperare. Oppure “il pessimismo della ragione, l’ottimismo della volontà”: pur sapendo che il pessimismo è l’unica prospettiva ragionevole e logica, ci sforziamo di essere ottimisti, contro ogni evidenza.
Oggi invece Ted Lasso ci insinua il sospetto che l’ottimismo può essere un modo serio e profondo di affrontare la vita e di guardare alla società. Mentre su YouTube leggiamo commenti quasi incredibili al video di LG, che sono di questo tipo:
Stamattina mi sono comprato una bicicletta per i miei 40 anni. Così, d’impulso, volevo solo regalarmi qualcosa di divertente. E poi spunta fuori questo video. Bellissimo. Dedicato a tutti quelli che, a tutte le età, vogliono ancora uscire là fuori e godersi la vita.
Me ne stavo seduto in camera e ho alzato la testa verso la TV proprio quando avevo più bisogno di vedere un video come questo. Grazie algoritmo, grazie a chiunque sia che me lo ha fatto vedere. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno, con tutto quello che sta accadendo nel mondo. Gli umani sono stati creati per essere felici. Life is good, davvero.
Sai cosa? Voglio vivere al massimo delle mie possibilità, e immergermi nelle cose con il sorriso, perché… perché no? Perché voglio che mi accadano cose belle, penso di essere pronta. Perché ad attendermi dietro l’angolo vedo speranza, e luce, e soddisfazione, e gioia.
La discesa in skate di LG, il rifiuto di arrendersi al male di Ted Lasso, sembrano suggerire che il vento della cultura sta cambiando: l’ottimismo è diventato una scelta culturale coraggiosa. È un atteggiamento controcorrente. È l’unico modo per uscire dalle tensioni che ci tengono bloccati. Ed è qualcosa con cui le persone sono disposte a identificarsi, qualcosa che cercano e vogliono veramente.
Fast forward
Abbiamo iniziato a scrivere Futuri Preferibili proprio per cercare spiragli di ottimismo a partire dai quali poter costruire un futuro diverso, e migliore. Ma non perché abbiamo un bel carattere o perché l’ottimismo è una nostra inclinazione personale. Lo facciamo perché crediamo che l’ottimismo sia uno strumento di lavoro.
Se ci pensate il lavoro di chi fa consulenza strategica è proiettarsi nel futuro, costruire scenari ottimistici e trovare il modo di renderli realizzabili. Solo se si riesce a guardare oltre i motivi ovvi che giustificano il pessimismo si può pensare di attivare il cambiamento, che sia all’interno di un’organizzazione o di tutta la società.
Trovare le possibili ricadute positive di una nuova tecnologia, di un movimento culturale, di nuove convinzioni o di comportamenti emergenti, è questo lo scopo di ogni pensiero strategico, e ciò che permette alle organizzazioni di restare rilevanti all’interno del cambiamento degli scenari.
È facile essere pessimisti oggi, sono molte le cose che ci autorizzano a vedere nero; per essere ottimismi invece servono impegno, flessibilità, studio, disciplina, immaginazione. Serve perseveranza per credere che le cose potranno volgere in positivo, anche quando tutto sembra andare in direzione contraria.
Il pessimismo è il migliore alleato dello status quo, è lo strumento perfetto per lasciare le cose come stanno. È facile accusare di insincerità e opportunismo chi oggi disegna scenari ottimistici. È facile dire: è una messa in scena, è una posa, non ne vale la pena. È facile liquidare tutti i discorsi sulla sostenibilità come green washing, tutti i discorsi sulla giustizia sociale come social washing, tutti i discorsi sui diritti come pink washing. Eppure l’unica possibilità che abbiamo di andare oltre l’ipocrisia della comunicazione è trasformare quei discorsi in realtà. Immaginare nuovi sistemi di vita, di movimento, di lavoro, lavorare per una società più giusta e consapevole, supportare la corsa inesorabile verso diritti e inclusività.
La critica permanente, la polarizzazione, la divisione in fazioni sono le tendenze dominanti della nostra società. Assecondare queste tendenze è il nuovo conformismo. Mentre essere ottimisti è un atto di anticonformismo, è un gesto rivoluzionario che ha il potere di cambiare davvero le cose, come accade nella campagna Worlds Apart promossa da Heineken. Due persone di culture ed estrazioni sociali diverse vengono messe a confronto e portate a collaborare e dialogare prima di conoscere i rispettivi convincimenti politici, che sono opposti. E il risultato è l’affermazione di una verità spesso dimenticata e coraggiosa: ciò che ci unisce è molto più forte di ciò che ci divide.
Resistere al pessimismo non è solo una forma di resistenza culturale, è un modo per proteggere le possibilità di crescita e sviluppo, individuali e collettive.
Il pessimismo fa rumore, produce engagement, interazioni, profitto. Ma l’ottimismo è più efficace nel mobilitare le persone, nel trasformare le parole in azioni. È difficile motivare chi lavora con noi, o attrarre nuovi talenti, agitando scenari pessimistici e visioni negative.
Riuscire a connettere le persone intorno a un’idea positiva, a una visione di cambiamento e trasformazione, metterle in movimento per realizzare qualcosa che conta: chi si muove in questa direzione alimenta un’aspirazione che è molto forte nelle persone. Ed è la stessa aspirazione che mantiene vivi i culti, le fedi, la costruzione di comunità alternative che non si arrendono allo stato di fatto e vogliono lottare per costruire qualcosa di migliore.
Può sembrare ridicolo essere ottimisti mentre infuria la guerra, il pianeta brucia o annega, le minacce si moltiplicano. Può sembrare l’ennesima sdolcinatezza natalizia, quella di Coca-Cola che afferma che il mondo ha bisogno di più Babbi (e Mamme) Natale.
Eppure le azioni che fermeranno le guerre, proteggeranno il pianeta e rinnoveranno la convivenza potranno arrivare solo da chi è ottimista, da chi crede fermamente che possa esserci vita oltre i conflitti, le crisi e le divisioni. Da chi continuerà a scegliere di aprire una porta, tendere una mano, offrire qualcosa in dono, come fanno gli ordinary Santa Claus di Coca-Cola.
Non esiste un solo pessimista che abbia cambiato il mondo in meglio. Il mondo lo cambia chi non ha paura di essere così ridicolo da credere di poterlo cambiare.
Io gli avrei dato un altro nome: speranza. E' ancora più autentico e ancora più anticonformista.
Ricordo un’intervista in cui Mario Monicelli diceva: non mi piace la parola “speranza”, perché rimanda il riscatto delle persone a un “dopo” indefinito. Non so se sono d’accordo con lui, però di sicuro sarebbe d’accordo con te Ernst Bloch, che ha scritto un libro bellissimo sulla storia dell'utopia, intitolato “Il principio speranza”. 😊