In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Andiamo?
Noi siamo qui
Ha fatto discutere in questi giorni la proposta del ministro alla Infrastrutture e ai Trasporti Matteo Salvini di introdurre casco, targa, frecce e assicurazione obbligatoria per monopattini e biciclette. A seguito delle polemiche poi il ministro ha parzialmente ritrattato, dicendo che la proposta di modifica del Codice della Strada si riferiva soltanto ai monopattini.
Al di là del merito della questione, l’episodio conferma quello che scrivevamo qualche settimana fa: dal modo in cui ripenseremo la mobilità dipenderà la forma delle nostre città e degli spazi condivisi. E alla fine il confronto decisivo sarà tra chi proverà a liberare idee diverse di movimento, e chi invece cerca di prolungare sistemi di mobilità che ci rendono prigionieri di spazi non progettati per le persone e per le loro esigenze.
La proposta del ministro però, nel passaggio che riguardava l’obbligo assicurativo, ci ha fatto riflettere anche su un altro argomento: la storia delle assicurazioni, che è un po’ anche la storia di come la nostra società ha organizzato nel tempo la fiducia e il supporto reciproco.
Per come è stata presentata, infatti, la proposta suonava vagamente punitiva. Ora basta con l’uso indiscriminato dei monopattini: da adesso in poi vi obblighiamo a farvi un’assicurazione, così imparate.
Lo spirito dei sistemi assicurativi però all’origine non era questo; non era un modo per tutelare la comunità dai guai che poteva combinare il singolo. Al contrario: era il modo in cui la comunità tutelava, aiutava, supportava i singoli. Non a caso le assicurazioni moderne derivano dalle società di mutuo soccorso: organizzazioni create da gruppi di lavoratori che si univano e mettevano in comune denaro per aiutarsi reciprocamente in caso di incidenti, problemi, disoccupazione improvvisa.
La storia delle assicurazioni quindi ha a che vedere con la storia del nostro rapporto con il denaro e con la fiducia. Forse i due elementi che determinano più in profondità il funzionamento della nostra società.
Il denaro, perché è il fluido che fa funzionare gli ingranaggi sociali, e scegliere come spenderlo diventa sempre più importante per la nostra capacità di orientare il futuro; e la fiducia, perché in una società ancora basata sulle mediazioni, in cui affidiamo a innumerevoli organizzazioni, istituzioni, piattaforme la gestione dei dati, delle relazioni e delle transazioni, diventa fondamentale capire di quali istituzioni e di quali processi possiamo fidarci.
Flashback
Il nostro modo di gestire le risorse non è sempre stato quello che conosciamo oggi. In molte società pre-moderne vigeva un’economia basata sul dono: se qualcuno riusciva a procurarsi beni e risorse che eccedevano le proprie necessità, li regalava, li metteva a disposizione di chi ne aveva bisogno. L’equilibrio e la tenuta sociale dei gruppi umani dipendevano dalla circolarità del dono. La società funzionava se il dono in qualche modo “tornava” a chi lo aveva fatto sotto forma di altri vantaggi.
Il sistema funzionava perché le dimensioni della comunità erano limitate, e gli individui avevano ancora un controllo sulle dinamiche del gruppo. In qualche modo la fiducia si basava sulla relazione diretta: se qualcuno veniva meno all’impegno nei confronti della comunità, gli effetti del suo comportamento erano immediatamente visibili. E la pressione sociale che derivava da questa visibilità favoriva la responsabilizzazione del singolo.
Così era anche per le prime società di mutuo soccorso: la comunità era ristretta, e il senso di responsabilità nei confronti degli altri era più stringente. La trasformazione di queste istituzioni è cominciata via via che i numeri crescevano: allargandosi sempre di più il numero dei partecipanti, il vincolo con la comunità si allentava. Alle persone restava il rapporto con l’istituzione, che custodiva non solo il loro denaro, ma la loro fiducia. Le persone dovevano fidarsi di un’organizzazione, non più dei componenti di un gruppo. E questo processo di progressiva astrazione ha riguardato tanto le assicurazioni quanto le banche, ovvero le due istituzioni che regolano attualmente i nostri flussi di denaro e di fiducia.
Venendo meno il vincolo della relazione diretta, queste istituzioni si sono allontanate rapidamente dalla vocazione originaria di garantire il supporto reciproco tra le persone. Sono diventati strumenti sempre meno controllati dalla volontà delle persone che li avevano costituiti. Immersi nelle dinamiche dell’economia di mercato, banche e assicurazioni si sono orientate a un uso del denaro che seguiva sempre meno la logica del mutuo soccorso, e sempre più quella del profitto.
Il profitto, se inteso come mezzo per raggiungere un fine, non è in sé un problema; il problema nasce quando il profitto si trasforma nel fine unico di un’organizzazione, portando l’organizzazione a dimenticare i bisogni e le necessità delle persone, e quelle dei contesti e dei territori in cui agiscono.
È per questo che le persone hanno cominciato a sentire il bisogno di ricostruire gruppi e forme di organizzazione fondate nuovamente sulla relazione diretta, lontano dalle istituzioni che gestiscono attualmente denaro e fiducia. Organizzazioni che fossero capaci di ricostruire il rapporto originario secondo il quale alcune risorse vengono messe in comune per metterle al sicuro e redistrubuirle tra chi ne ha bisogno.
Sul web questa tendenza prende il nome di decentralizzazione, ovvero la creazione di comunità che si auto-organizzano e usano strumenti integralmente gestiti dalla comunità stessa, senza ricorrere a piattaforme esterne.
Dalla cultura della blockchain e dalle innovazioni tecnologiche legate alle criptovalute sono nate le DAO, Decentralized Autonomous Organizations. Comunità che si scambiano denaro, valore e oggetti digitali senza passare attraverso la mediazione di un’istituzione terza. Si tratta di modelli organizzativi e concettuali che rappresentano una risposta alla mancanza di fiducia nelle istituzioni centralizzate, e per noi rappresentano il futuro preferibile delle comunità.
Fast forward
La decentralizzazione delle organizzazioni non riguarda soltanto lo scambio di denaro. Una comunità energetica funziona allo stesso modo: all’interno di una rete energetica autonoma ci sono i produttori e i consumatori. L’energia prodotta dai produttori si muove solo attraverso la rete locale, lontana dalle grandi “autostrade” elettriche. In questo modo, tutta l’energia generata resta all’interno della comunità e i benefici che se ne ricavano vengono redistribuiti tra i componenti della comunità.
È lo stesso principio del marketing rigenerativo di cui abbiamo già parlato: creare sistemi di trasmissione e distribuzione che trattengono le risorse all’interno della comunità, limitando la loro dispersione e soprattutto la loro estrazione da parte delle grandi piattaforme globali.
Uno dei trend messi in evidenza dal Digital News Report di quest’anno, pubblicato qualche giorno fa, dice che anche la nostra attenzione per i contenuti online si sta decentralizzando: seguiamo più piattaforme, e a ognuna chiediamo si specializzarsi in un range più limitato di argomenti e approfondimenti, e di metterci in connessione con le persone che condividono con noi un determinato interesse. Anche il futuro dei social probabilmente va nella direzione delle comunità autonome.
Del resto forse la prima DAO capace di utilizzare autonomia e controllo distribuito per creare e moderare i contenuti è stata Wikipedia, come ha affermato recentemente uno dei suoi fondatori, Jimmy Wales. Wikipedia è davvero un’organizzazione autonoma decentralizzata, in cui delle unità indipendenti, formate da piccoli gruppi di persone, hanno la responsabilità di definire e mantenere affidabile un contenuto.
Creare comunità autonome decentralizzate significa permettere alle persone di partecipare a un’impresa condivisa, cedendo loro controllo e responsabilità, anziché renderle clienti di una piattaforma. Mettere a disposizione delle persone strumenti per associarsi in modo semplice e agile, senza la pesantezza della burocrazia, per collaborare, allearsi, condividere beni, mettere in comune risorse: è questa l’unica strada per ricostruire fiducia e relazioni autentiche all’interno delle nostre società.
Le DAO sono un modo per ritornare all’idea originaria del “mutuo soccorso”: mettersi insieme per aiutarsi e supportarsi a vicenda, dandosi delle regole autonome, un sistema di gestione indipendente e degli strumenti non controllati da istituzioni esterne. La decentralizzazione rimette la comunità al centro e permette ai gruppi di riorganizzarsi secondo regole e principi più aderenti ai bisogni e alle necessità delle persone.
Il web 3.0 ha creato le piattaforme tecnologiche e l’ambiente culturale che rendono possibile riformare comunità coese in modo rapido, leggero, senza passare attraverso la mediazione di istituzioni pesanti e oppressive, Stati, governi o piattaforme che tendono a estrarre valore dalle transazioni che abilitano.
Nel nostro futuro preferibile anche le imprese e i brand si organizzeranno per costruire e creare valore insieme alle loro comunità di riferimento, senza tentare di sfruttarle. Laka, per fare un esempio che ci riporta alla questione di partenza, è un’assicurazione per ciclisti che calcola premi e risarcimenti sulla base di un principio collettivo e distribuito: non chiede agli assicurati di pagare in anticipo un premio annuale, ma divide ogni mese l’importo totale dei sinistri tra i membri del collettivo.
La collettività torna a farsi carico delle difficoltà degli individui, e gli individui tornano a dare valore a un principio di reciprocità.
Guarda caso, si tratta di un’assicurazione per le biciclette. La strada verso una nuova decentralizzazione e un nuovo modo di trasferire potere alle comunità è lunga, ma sembra proprio che potremo percorrerla pedalando.