In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Andiamo?
Noi siamo qui
Non si parla di soldi. Parlare di soldi non sta bene. Non è elegante, non è conveniente: il denaro è un argomento che, salvo poche eccezioni, siamo stati educati a evitare fin da piccoli. È un tabù.
Sarà il retaggio della cultura cattolica, sarà che anche la cultura progressista spesso associa inconsciamente il denaro a una “colpa”, ma il risultato è che, in media, siamo economicamente analfabeti. Sappiamo pochissimo dei meccanismi di base dell’economia, fatichiamo nella gestione consapevole dei nostri budget personali e familiari, e abbiamo spesso bisogno di chiedere aiuto a professionisti e consulenti.
L’educazione finanziaria non ha praticamente spazio nelle scuole primarie e secondarie: eppure l’economia è una delle forze che hanno maggiore influenza sulla nostra vita. Per le persone “comuni” la finanza è una disciplina misteriosa, lontana e inaccessibile come la fisica quantistica. Eppure dalle oscillazioni della finanza dipendono non solo trend globali ed equilibri geopolitici, ma anche le nostre vite quotidiane: lo abbiamo visto con l’innalzamento dei tassi di interesse, con i licenziamenti di massa nel settore tech, e in modo ancora più evidente con le crisi che nascono da sconosciute dinamiche finanziarie e arrivano a investire la vita di tutti: è successo nel 2008, e qualcuno teme che la catena di recenti fallimenti delle banche possa innescare qualcosa di simile.
Una maggiore consapevolezza economica diffusa non servirebbe solo a gestire meglio i nostri risparmi, a pianificare meglio i nostri investimenti, a rendere più fruttuosi i nostri guadagni.
Potrebbe servire anche a mettere in discussione il modello economico dominante: se nessuno sa davvero come funziona l’economia, come si muove il denaro, è difficile che possano arrivare idee e sperimentazioni alternative. È difficile immaginare un modo diverso di rapportarci al denaro.
Flashback
Più noi ci rifiutiamo di occuparci di denaro, però, più il denaro si occupa di noi. Ci impone dinamiche e scelte di vita, decide cosa possiamo o cosa non possiamo fare, regola, attraverso il lavoro, lo scorrere delle nostre giornate e - checché se ne dica - ha un ruolo fondamentale nel determinare il nostro benessere.
Negli ultimi anni le trasformazioni travolgenti della tecnologia hanno cambiato in profondità - come hanno fatto un po’ con tutto - anche il nostro rapporto con il denaro. Da un lato la percezione che abbiamo del denaro si è virtualizzata, è diventata più astratta e più fluida, si è liberata apparentemente da mediazioni vincoli burocratici; dall’altro però la volatilizzazione del denaro ha aumentato le incertezze, ha reso ancora più difficile la pianificazione individuale, e soprattutto ha fatto emergere trend di contrazione della crescita e involuzione della disponibilità di denaro.
Il modo in cui spendiamo soldi è cambiato notevolmente rispetto a come spendevano i soldi i nostri nonni e bisnonni. Guardando ai dati, emerge una grande differenza ad esempio nella spesa per la casa. La casa occupa circa il 35% del nostro budget, senza differenze particolari tra generazioni, e ha fatto aumentare i nostri budget individuali.
Il problema è che un tale aumento delle spese non è stato seguito da un pari aumento degli stipendi. Il risultato? Non risparmiamo più; e siamo abbastanza convinti che i nostri figli staranno finanziariamente peggio di noi.
Intanto tra i più giovani spopolano app e servizi che consentono di pagare qualsiasi cosa a rate senza interessi (i cosiddetti Buy Now, Pay Later). E se da un lato è vero che questi servizi hanno reso più agile il rapporto con il denaro, dall’altro cominciano a nascere dubbi e riflessioni circa il rischio di un potenziale indebitamento incontrollato. Mentre rateizzano il pagamento dell’aperitivo, pare che molte persone, soprattutto tra i più giovani, fatichino a pagare le bollette in tempo.
Da qualche anno, del resto, il più importante movimento contro-culturale in ambito digitale è legato al denaro. La rivoluzione tecnologica legata alla blockchain e alle criptovalute nasce dall’esigenza di inventare un modo diverso di scambiare valore. I protocolli blockchain sono stati progettati in aperta contrapposizione rispetto al modo in cui le piattaforme mainstream gestiscono i dati degli utenti e monetizzano le loro interazioni.
Questo movimento, oltre a creare valute alternative a quelle ufficiali, come Bitcoin o Ethereum, propone soprattutto la creazione di comunità autonome e decentralizzate. L’obiettivo è quello di non delegare più a nessuno il controllo di qualunque transazione, e di fare in modo che il valore generato da una comunità resti interamente a disposizione della comunità stessa.
Fast Forward
La decentralizzazione risponde al problema che l’economia digitale, e in particolare l’economia delle piattaforme, ha potenziato e reso ancora più capillare la logica estrattiva del capitalismo tradizionale. Ovvero, ha fatto in modo che pochi grandi attori globali producessero valore non solo dal nostro lavoro, ma anche dal nostro tempo libero, dalle nostre relazioni, dalle nostre passioni, dal tempo che passiamo a “non fare niente”.
Per un breve momento abbiamo creduto che le piattaforme digitali potessero abilitare un’economia della condivisione. Presto però ci siamo resi conto che nell’economia digitale stava prevalendo una logica votata alla massimizzazione del profitto, spesso a scapito anche del benessere delle persone e della coesione sociale.
Dai movimenti che si battono per la decentralizzazione, però, ci arriva un suggerimento che si può applicare in modo più esteso: rovesciare il modello estrattivo in un modello comunitario, in cui il valore prodotto dalle persone ritorni più possibile alle persone, restando all’interno delle comunità.
Philip Kotler e Christian Sarkar, insieme ad altri economisti e ricercatori, hanno elaborato un modello di marketing rigenerativo, pensato per far circolare il più possibile il denaro all’interno delle comunità, trasformando tutto ciò che viene speso in un potenziale investimento che migliora i luoghi e gli spazi condivisi.
È un’idea che va oltre il modello della “responsabilità sociale”. Non si tratta soltanto di una concessione che le imprese e i soggetti economici fanno ai territori di riferimento. Si tratta di un modello che funziona a partire da una logica comunitaria, e che potenzialmente può conciliare crescita economica, redistribuzione del benessere, tutela dell’ambiente. Un vero futuro preferibile.
Per riuscire a far funzionare questo futuro preferibile, però, dobbiamo parlare di soldi. Dobbiamo promuovere una consapevolezza maggiore sulle dinamiche che regolano i movimenti del denaro, e il suo impatto sulla vita delle persone. Dobbiamo avere un’idea chiara del business, di cosa significa progettare prodotti che funzionano, di come si produce valore.
Vale per le comunità, e vale per gli individui. Solo attraverso una conoscenza più approfondita dei meccanismi economici possiamo diventare, a livello personale, più capaci di “difenderci” dalla pressione del contesto e di prendere in mano la nostra vita finanziaria, e quindi la nostra vita tout court.
Perché proprio ora, in un momento storico in cui siamo tutti più consapevoli che i soldi non sono tutto, non sono la misura del valore di una persona, non sono il fine della vita, è ancora più importante ammettere che i soldi sono importanti. Sono importanti come strumento, per crescere, realizzare i propri progetti, mettere al sicuro le cose che per noi contano di più.
Sono importanti per le persone e per le organizzazioni, e lo diventano ancora di più in periodi di incertezza.
Nel nostro futuro preferibile parlare di più e in modo più consapevole di denaro aiuterà le persone a orientarsi meglio nelle possibilità di risparmio, di spesa, di investimento; a condividere esperienze e buone pratiche, e quindi ad accrescere l’educazione finanziaria diffusa. È il lavoro che stanno facendo community come quella di Rame, che si è data come missione proprio il lavoro di rompere il tabù del denaro, e parlare di soldi senza filtri, senza pudori e mistificazioni.
Per questo nel nostro futuro preferibile si parlerà più di soldi in modo serio, intelligente e audace. Parlare di soldi significherà mettere in evidenza che fine fanno, a che cosa servono, come possono essere spesi bene, in modo utile per la collettività. Parlare di soldi significherà vedere l’effetto dei soldi sulla vita delle persone: se, come suggeriscono le teorie del marketing rigenerativo, cominciassimo a vedere che i soldi spesi in un certo modo hanno un impatto concreto sulla nostra quotidianità, sui luoghi in cui viviamo, sui quartieri, sulle strade, sulle piazze, allora il nostro impegno per mantenere e potenziare questo meccanismo sarebbe sempre più intenso. Allora, forse, parlare di soldi sarà il modo per cambiare non solo il nostro rapporto con il denaro, ma l’idea stessa che abbiamo dell’economia.