In questa newsletter raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
Il Futuro Preferibile della scorsa settimana ha suscitato parecchie reazioni positive, e qualcuno di voi ci ha chiesto di approfondire che cosa vuol dire Play New, soprattutto rispetto ai temi di cui ci occupiamo, ovvero la creazione e la gestione di un’organizzazione, di un team o di un brand.
Abbiamo parlato spesso della necessità per le organizzazioni di costruire un futuro desiderabile al quale le persone potessero scegliere di aderire; dell’importanza di inventare il proprio campo da gioco; della possibilità di liberarsi delle griglie troppo rigide sia nel lavoro che nella vita.
Play New è la mossa di fondo che permette di fare tutte queste cose, e soprattutto è la convinzione che per riuscire a inventare il futuro, il campo da gioco, il lavoro, la vita che vogliamo e che ci renderanno inarrestabili, dobbiamo cambiare il nostro modo di intendere la strategia.
Flashback
Nel 1996 Michael Porter, considerato il padre della business strategy contemporanea, scrive su HBR un articolo dal titolo What is strategy?, il cui contenuto è ancora estremamente attuale.
Porter sostiene che l’iper-competitività del mercato, di cui molti parlano, potrebbe non essere una conseguenza dei continui, rapidissimi cambiamenti in corso nello scenario economico e sociale, quanto piuttosto un male che le organizzazioni stesse si auto-infliggono.
Che cosa intende dire?
L’estrema volatilità di ogni cosa che ha caratterizzato gli ultimi decenni (per descrivere la situazione in cui viviamo qualcuno ha inventato l’acronimo VUCA – Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity) ha diffuso nelle organizzazioni un mantra che suona più o meno così: dobbiamo essere estremamente rapidi e flessibili, perché qualsiasi vantaggio competitivo che possiamo ottenere è soltanto temporaneo.
Questa rincorsa alla velocità e all’ottimizzazione continua come risposta alla volatilità dello scenario ci ha portato a confondere la strategia con l’efficacia operativa.
Abbiamo creato strumenti di gestione che garantiscono alle aziende molti miglioramenti operativi; tuttavia, questi miglioramenti non si traducono in una crescita sostenibile dell’organizzazione, causando la frustrazione di imprenditori e manager.
Qual è la differenza tra efficacia operativa e strategia, secondo Porter?
L’efficacia operativa consiste nel fare le cose meglio dei competitor, mettendo in atto una serie di best practice che consentono all’organizzazione di offrire un valore paragonabile a quello dei propri avversari, a un costo più basso.
La strategia, al contrario, consiste nel fare cose diverse, in modo unico, facendo scelte che consentono all’organizzazione di offrire un valore più grande dei competitor.
La strategia di un’organizzazione è ciò che la rende diversa, non migliore dei propri competitor.
Fatte queste premesse è chiaro come migliorare l’efficacia operativa di un’organizzazione sia fondamentale, ma solo dopo aver definito la sua strategia. Invece, a distanza di quasi trent’anni dall’articolo di Porter siamo ancora alle prese con un’enorme confusione tra l’una e l’altra cosa.
Pensate al successo di un framework come OKR (Objectives and Key Results), divenuto popolare grazie al suo utilizzo in Intel e Google: se da un lato può aumentare l’efficienza operativa di un’organizzazione, dall’altro è spesso scambiato per la strategia e diventa un suo sostituto, non un suo complemento.
Come scrive Roger Martin:
So che è affascinante pensare che gli OKR abbiano giocato un ruolo significativo nel successo di Google. Tuttavia scommetto che, se avessimo dati completi su Google e facessimo un’analisi di regressione multipla sui fattori del suo straordinario successo, oltre il 90% della causalità sarebbe attribuita a una sola variabile: l’invenzione del business più redditizio della storia — la pubblicità basata sulla ricerca. Un’attività gigantesca a costo marginale zero, abbinata a un modello di business brillante (offrire la ricerca gratuitamente per stimolare la domanda e monetizzare quegli utenti vendendo termini di ricerca agli inserzionisti). Gli OKR rappresenterebbero solo una piccola parte residua — un trascurabile errore di arrotondamento.
Esiste un aforisma aziendale erroneamente attribuito a Peter Drucker che recita: “What gets measured gets managed”, cioè “ciò che viene misurato viene gestito”.
La frase viene citata per giustificare l’applicazione di misure quantitative a tutto, quando in realtà è l’esatto opposto dell’intento della citazione originale, che nella sua interezza dice:
“Ciò che viene misurato viene gestito, anche quando è inutile misurarlo e gestirlo, e anche se farlo danneggia lo scopo dell’organizzazione.”
Per tornare a Porter, la ricerca dell’efficacia operativa è seducente perché è concreta, misurabile e attuabile. I manager sono costantemente sotto pressione per ottenere miglioramenti tangibili delle performance dell’organizzazione. Le società di consulenza invadono il mercato con informazioni su ciò che fanno altre aziende, rafforzando la mentalità delle best practice. Coinvolte nella corsa all’efficacia operativa, molte aziende semplicemente non comprendono la necessità di avere una strategia e si concentrano sull’ottimizzazione. Per molti manager non fare alcuna scelta è preferibile al rischio di essere accusati di aver preso una decisione sbagliata. Soprattutto, la necessità di fare scelte e stabilire ciò che un’azienda non deve fare in nome della propria strategia, appare come un limite alla crescita dell’organizzazione.
In realtà, fare scelte, sacrificare qualcosa e stabilire limiti è proprio ciò che abilita la crescita di un’organizzazione. E questo non richiede complesse analisi di dati o PowerPoint infiniti, piuttosto ha bisogno di una forte capacità immaginativa per domandarsi che cosa vogliamo per il futuro, e quali azioni compiere per arrivarci.
Nelle parole di Roger Martin:
Chiunque consideri la strategia come un processo che richiede molta immaginazione, seguito dalla determinazione di come realizzare ciò che potrebbe essere, anche senza poterlo provare preventivamente con un’analisi approfondita, vi prenderà in contropiede e vi supererà.
Fast forward
Le grandi organizzazioni hanno la strategia al centro.
E le grandi strategie hanno l’immaginazione al centro.
Play New significa servirsi dell’immaginazione per definire quel tipo di strategia che crea valore attraverso la differenziazione. L’organizzazione che gioca in modo nuovo cambia le regole del gioco, obbligando i competitor ad adeguarsi.
Come si fa tutto questo?
Creare una sottocategoria
Giochiamo in modo nuovo quando creiamo un segmento innovativo all’interno di una categoria esistente per migliorare l’esperienza o la relazione con gli stakeholder (su questo argomento un must-read è tutto lo straordinario lavoro di David Aaker sulla brand relevance).Cambiare industry
Giochiamo in modo nuovo quando ci spostiamo in una categoria diversa da quella tradizionalmente occupata dall’organizzazione e dai competitor.Spostare il focus
Giochiamo in modo nuovo quando smettiamo di raccontare l’organizzazione, i suoi prodotti/servizi e le loro caratteristiche, per spostare l’attenzione sulle persone, e aiutarle a scoprire qualcosa di nuovo sul mondo e su loro stesse.Cambiare la realtà
Giochiamo in modo nuovo quando ridefiniamo ciò che le persone considerano vero e immutabile, per convincerli dell’esistenza di una nuova realtà.
Migliorare l’efficienza operativa è una parte necessaria del management, ma non è strategia. Quando confondiamo le due cose, creiamo le condizioni per la competizione convergente: una forma di concorrenza esasperata che porta le aziende a giocare al ribasso, tagliare i costi, comprimere i servizi, perdere qualità. Un’idea della competizione che non conviene a nessuno e che, anziché creare valore, lo dissolve.
Immaginare uno spazio d’azione davvero unico per ogni azienda significa creare un mercato in cui le offerte, proprio perché sono ben differenziate, si integrano anziché combattersi e distruggersi a vicenda. Dimenticando la strategia invece abbiamo trasformato il gioco, in cui ognuno ha un suo ruolo unico e chiaro, in una guerra, dove tutti combattono nello stesso territorio per salire un gradino più in alto degli altri.
Per questo è il momento di reinventare il gioco. È il momento di Play New.
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Ormai questa newsletter fa proprio bene al cuore e pare sia consigliata dall'ordine dei cardiologi :-D
ps. Se non fosse troppo forte quel richiamo lì, io aggiornerei in play different, per concentrarmi più sulla variante diacronica rispetto a quella sincronica (il tutto tra virgolette) ;-)
Altro numero magistrale. L’unica cosa su cui non sono d’accordo è l’assunto (figlio di una certa lettura di Porter) è che la frenesia del cambiamento continuo sia in qualche modo “autoinflitta” e quindi (corollario che nasce da una “fessura” di questo ragionamento) potrebbe essere evitata.
Secondo me al contrario non è possibile evitarla in nessun caso, perché non è determinata dai comportamenti dei soggetti, ma dalla struttura in cui agiscono: è l’accelerazione tecnologica che genera queste “perturbazioni” che causano accelerazione (vedi What Technology Wants, di Kelly). Le aziende possono solo “reagire”. E correre