In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
MATTEO
Il 2024 non è solo un anno di elezioni, ma l’anno delle elezioni.
In tutto il mondo un numero senza precedenti di elettori ed elettrici saranno chiamati alle urne. In almeno 64 Paesi, dall’India agli Stati Uniti, si terranno elezioni nazionali, mentre in Europa i cittadini dovranno rinnovare il Parlamento dell’Unione Europea. Circa il 49% della popolazione mondiale dovrà decidere sul proprio futuro politico. E i risultati saranno decisivi per i prossimi anni: in gioco ci sono visioni del mondo spesso opposte - pensate soltanto a cosa succede negli USA - e l’idea stessa di come le società dovranno governarsi e convivere.
PAOLO
Qualche settimana fa Luciano Floridi, filosofo e oggi direttore del Digital Ethics Center alla Yale University, ha detto in un’intervista rilasciata a Forbes Italia:
La democrazia ha avuto la stagione dell’individualismo e non riesce ad avere quella della comunità. [...] Bisogna lavorare non soltanto per l’individuo, ma anche per la società. Se non ci lavoriamo tutti insieme, non riusciremo a risolvere i problemi globali.
Probabilmente se ci astraiamo dai singoli contesti politici e dalla lotta degli schieramenti, questa tensione tra individui e comunità è la vera posta in gioco di questo anno cruciale per il nostro futuro.
È possibile pensare a una definizione di sviluppo e benessere che abbia al centro non l’individuo, ma la collettività?
Flashback
MATTEO
Nel corso degli ultimi decenni il nostro sistema economico ha trasformato la società in un mercato, i cittadini in consumatori e le comunità in aggregazioni di individui. Ci è stata indicata l’autorealizzazione come unico scopo della vita, la competizione come l’unico modo di rapportarsi con gli altri.
Lottare, prevalere, vincere, diventare leader, ammirare e invidiare quelli che “ce l’hanno fatta”: è questo il racconto dominante che abbiamo alimentato, mettendo in secondo piano i racconti incentrati sui legami e la solidarietà. Al centro di questo racconto c’era sempre un solo protagonista, un eroe solitario che accentrava tutte le doti e tutto il potere. Agli altri era lasciata la possibilità di ripetersi che basta avere coraggio e credere in sé stessi per essere migliori, più forti, più veloci, più magri – e avere successo.
PAOLO
La costruzione della modernità, la rivoluzione scientifica, industriale e tecnologica hanno costruito le fondamenta per la spinta individualistica che ha caratterizzato la storia degli ultimi tre secoli. L'individuo “assoluto”, inteso come razionale e libero da ogni legame, padrone di se stesso, si è configurato come il protagonista indiscusso della storia.
Internet ha aumentato esponenzialmente le possibilità di connessione e di socializzazione, ma probabilmente non è riuscito a scalfire questa centralità dell'individuo. Non ha rafforzato l’interazione sociale, i legami e gli impegni reciproci. Al contrario, ha esasperato il culto del sé.
La tecnologia monitora il nostro comportamento, ci guida verso l’ottimizzazione del nostro io: dalla conta delle calorie al monitoraggio del sonno, dal numero di passi alla gestione dello stress, ogni aspetto della nostra vita è registrabile e ottimizzabile. Il risultato di questa ottimizzazione viene esibito pubblicamente sui social media. Su questo palcoscenico virtuale siamo dipendenti dal riconoscimento e dall'approvazione altrui, con i “like” che diventano la nuova valuta, come in uno degli episodi più profetici di Black Mirror. E restiamo intrappolati in una competizione continua e accesa per dimostrare chi ha l’ego più grosso.
In questo contesto, anche la comunicazione dei brand e delle organizzazioni è stata a lungo esclusivamente incentrata sull’individuo: che siano lifestyle brand o brand ispirazionali, il messaggio è sempre “con noi diventerai un individuo migliore”. Scegli noi, perché ti faremo somigliare di più al tipo di individuo che sogni di essere.
MATTEO
In molti casi la risposta a questo individualismo totale non è la creazione e il rafforzamento delle comunità, piuttosto la diffusione del pensiero comunitarista.
Il comunitarismo negativo emerge come una risposta nostalgica e regressiva alla perdita di identità e significato causata dalle degenerazioni dell'individualismo contemporaneo. In questa prospettiva, la comunità assume tratti reattivi e rivendicativi, manifestando ostilità e violenza verso l’esterno, identifica l’altro con il male e il nemico, e tende a rinchiudersi nella costruzione interna di un “Noi” autoritario, impermeabile ed esclusivo.
È possibile creare nuove forme di condivisione e legami solidali, senza annullare le individualità e le diversità?
Fast forward
MATTEO
Nel 2004 la British Petroleum pubblica sul suo sito un “calcolatore dell’impronta di carbonio” che permette agli utenti di stimare la quantità di CO2 emessa da ognuno quotidianamente. Si tratta di un escamotage di marketing per promuovere l’idea che il cambiamento climatico non è responsabilità di una grande società petrolifera, bensì degli individui. Se il pianeta si surriscalda non è colpa di BP, ma tua che non vai abbastanza in bicicletta.
Invece di affrontare la decarbonizzazione in modo sistematico, l’onere del cambiamento ricade sulle persone. I problemi sistemici diventano problemi individuali e l’ottimizzazione delle performance personali viene preferita alla riforma sociale. È un tipo di approccio che vediamo in atto continuamente, in tutti gli ambiti:
aumentano burnout e stress al lavoro? Suggeriamo la meditazione, consigliamo una migliore gestione del tempo, diamo consigli su come migliorare la produttività individuale invece di introdurre misure sistemiche come la settimana lavorativa di quattro giorni o la trasparenza salariale;
siamo ancora lontani dalla parità di genere? Suggeriamo alle donne di lavorare sulla loro self-confidence, invece di eliminare gli ostacoli alla loro realizzazione e incentivare la parità di trattamento con gli uomini;
le città hanno bisogno di nuovi piani di sviluppo? Le dotiamo di quartieri dedicati allo shopping e al divertimento, miglioriamo la mobilità individuale invece di promuovere lo sviluppo della cultura, degli spazi di socialità e del trasporto pubblico.
Per realizzare un Futuro Preferibile di comunità, nel rispetto della diversità dei singoli, dobbiamo spostare la nostra attenzione dal livello dell’individuo a quello del sistema, prendendo in esame i modelli mentali e narrativi che supportano e rafforzano lo status quo.
PAOLO
In questo senso è centrale il potere della storia che raccontiamo. L’ottimizzazione di un comportamento individuale porta con sé la gratificazione immediata, personale e sociale, per essere diventati persone migliori. Dobbiamo riuscire a dare lo stesso potere alle narrazioni collettive: solo così possiamo sperare di riformulare le nozioni comuni di modernità e progresso.
Per rendere possibile questo twist narrativo, abbiamo bisogno di cambiare il protagonista, l’eroe del nostro racconto: non più l’individuo, ma la collettività. E quindi rovesciare i valori di riferimento, mettendo al centro la reciprocità, la risonanza, la solidarietà, il senso di felicità e soddisfazione condivisi.
Un nuovo assetto narrativo cambierebbe anche l’organizzazione delle comunità: il modo di gestire i progetti, concepire spazi e risorse, pianificare le attività economiche. Per fare un esempio: invece di appaltare la costruzione di un’infrastruttura per l’energia pulita a una grande società energetica, una comunità potrebbe gestirla autonomamente, ascoltare le esigenze di tutti i propri componenti, incentivare la co-progettazione, far circolare al proprio interno l’energia prodotta e i profitti ricavati. Non è un racconto di fantasia: è successo a Feldheim, in Germania, ed esempi di questo tipo si stanno moltiplicando.
In questo modo gli sforzi necessari alla transizione energetica non sarebbero calati dall’alto, ma passerebbero attraverso processi decisionali condivisi, sarebbero vissuti in prima persona e accolti direttamente dalla comunità, che invece di subirli se li intesterebbe.
Ma non solo: la progettualità comunitaria ha il vantaggio di non isolare la componente ambientale della sostenibilità dalla componente economica e sociale. Co-progettare gli spazi della comunità infatti significa affrontare allo stesso tempo anche i problemi legati alla coesione sociale, contrastare la marginalità e l'isolamento, assottigliare le disuguaglianze economiche.
Distribuire il potere decisionale a chi di solito sente di esserne privo favorirebbe le possibilità di adesione diffusa ai processi di cambiamento.
Ricchezza e benessere non vanno redistribuiti, ma predistribuiti: lo sviluppo deve essere pensato in modo da non accrescere il benessere di un unico soggetto o di alcuni individui, ma quello della comunità. Per farlo, avremo bisogno di nuove metriche e criteri di misurazione diversi da quelli attuali: lo stato di salute della società non andrà più misurato facendo riferimento al successo individuale, ma a partire dalle componenti più piccole e deboli, dalle minoranze e dai soggetti fragili.
Infine, il racconto che ha al centro la comunità non includerebbe solo gli umani, ma anche la natura e i sistemi ecologici. Del resto che cos’è una comunità senza le sue risorse naturali, le foreste, l’acqua, la terra, le piante, gli animali, le montagne…
MATTEO
In questo modo si rovescia il racconto delle grandi corporation che hanno provato a scaricare sugli individui la responsabilità del collasso ambientale e sociale. Perché come abbiamo accennato anche la scorsa settimana, le comunità sono veicoli di cambiamento. Sono le comunità a creare il contesto e le condizioni che permettono alle persone di comportarsi in modo diverso, di cambiare le cose in cui credono, di dare nuovo significato alla propria vita e al rapporto con gli altri. E quindi il contributo di aziende e organizzazioni potrà diventare decisivo: non attraverso questa o quella azione “virtuosa” da segnalare nei report di sostenibilità, ma attraverso un lavoro in grado di creare le condizioni di base, il contesto, lo sfondo, l’ambientazione all’interno della quale una nuova storia della società potrà essere raccontata.
Futuri Preferibili nasce per creare risonanza, prestare attenzione e, appunto, fare comunità. Aiutaci a capire che valore ha per te scrivendoci un commento, un’email o un messaggio su LinkedIn. Grazie!
Si fa brutta figura a dire "mi avete ricordato un libro anche se non l'ho letto"? mi è venuto in mente "Noi siamo tempesta", che racconta "avventure collettive famosissime o del tutto sconosciute".
FUCKING MASTERPIECE!