In questa newsletter raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
MATTEO
Venerdì pomeriggio abbiamo passato le ultime ore di lavoro prima del weekend a discutere a lungo per capire se era meglio scrivere un testo tutto al presente o tutto al futuro. Poi abbiamo lavorato sull’ordine delle parole, sulla disposizione, sui sinonimi, sulle virgole. Abbiamo soppesato i termini, calibrato la struttura, bilanciato gli equilibri, giocato con le assonanze e le ripetizioni. Come cambia il significato del testo se spostiamo un aggettivo, se togliamo un avverbio? Stiamo scrivendo un manifesto politico o una preghiera?
PAOLO
Intanto i rispettivi figli facevano irruzione nello studio e cominciavano a insinuarsi nelle finestre della call, reclamando giustamente il tempo che gli spetta. Tanto che siamo arrivati a chiederci: perché è così importante per noi trovare le parole esatte, la frase perfetta, l’espressione unica che rende il messaggio più efficace possibile? Che valore aggiunge la cura maniacale per le parole, in un mondo sempre più distratto e in cerca di stimoli facili e immediati? In fondo noi ci occupiamo di marketing, mica di letteratura. O no?
Flashback
PAOLO
Per quasi dieci anni ho lavorato all’Università, e mi occupavo di letteratura. Scrivevo libri, articoli, testi da leggere ai convegni, e scrivevo sempre troppo. La richiesta di tagliare, di stare nelle 20.000 battute di un articolo, nei 20 minuti di un intervento, mi sembrava un’ingiustizia, una pignoleria da burocrati. Avevo un sacco di cose da dire - almeno credevo - e avevo bisogno di usare tutte le parole necessarie per dirle.
Il risultato erano testi lunghi, tortuosi, in cui anche le idee brillanti restavano sepolte sotto una colata lavica di parole. È ciò che Steven Pinker chiama the curse of knowledge, la maledizione della conoscenza: chi ha studiato a lungo un argomento, lo conosce a fondo ed è padrone del suo linguaggio specifico, non riesce più a mettersi nei panni di chi non ne sa nulla. E quindi finisce per scrivere cose incomprensibili e illeggibili. Senza contare la comodità di poter nascondere argomentazioni deboli e idee zoppicanti sotto il tappeto della supercazzola accademica.
Sapevamo tutti che sarebbero bastate molte meno parole per dire quello che avevamo da dire. Ma allo stesso tempo sapevamo anche che lo scopo del gioco non era scegliere le parole per rendere i messaggi più chiari e potenti possibile. Lo scopo era mostrare di saper parlare la lingua più complicata del mondo, l’accademichese, e gettarsi reciprocamente parole fumose negli occhi per evitare di esporre le idee a sguardi indiscreti.
Adesso, lasciata l’Università, scrivo testi per la strategia e la comunicazione delle imprese. Studio più di prima, leggo forse più di prima, cerco di aggiornarmi sui fenomeni sociali, culturali, economici più rilevanti. Analizzo la storia delle aziende e gli ambiti di mercato, parlo con imprenditori e manager delle aziende, leggo documenti di ogni tipo. Poi però di solito il risultato di tutto questo studio, di questa attività di ricerca, deve condensarsi in una manciata di parole. Poche, scelte con cura, significative ed efficaci. Non c’è spazio per i giri di parole. Non c’è supercazzola che non sia immediatamente smascherata.
Normalmente si pensa che la scrittura “commerciale”, la scrittura per la comunicazione, sia leggera e superficiale. È un pregiudizio che proviene dalla separazione rigida - e stupida - tra cultura alta e cultura bassa.
In realtà la scrittura per i brand, alla quale è richiesta la massima memorabilità e la massima efficacia, è il frutto di una condensazione e di una capacità di sintesi che la rendono spesso molto più difficile della scrittura di un articolo o di un saggio.
In un articolo si può sviluppare un ragionamento complesso in due, tre, dieci pagine. In uno slogan spesso un ragionamento altrettanto complesso deve vivere nello spazio di due o tre parole.
MATTEO
Certi slogan come Life is Good, oppure It’s always day 1, sono espressioni all’apparenza semplicissime, che tutti potrebbero pronunciare. Nel contesto in cui sono state coniate però, sono espressioni che rendono le aziende che le fanno proprie inconfondibili e uniche. Sono frasi che intercettano tensioni culturali profonde, oppure fanno da orientamento al lavoro di una delle aziende più profittevoli della storia.
Allo stesso modo, arrivare a scomporre la parola GENIUS, e vederci dentro il conflitto tra la i di “I”, io, e “us”, noi, è un’operazione filosofica. Dire alle persone Belong Anywhere in un mondo in cui l’iper-connessione rischia di generare solitudine e isolamento, è la sintesi di una complessa analisi sociologica.
Queste espressioni così semplici, poi, non stanno da sole: sono il motore verbale che genera azioni, prodotti, immagini, simboli, storie. La scrittura non può essere mai separata dalla strategia e dal business, ma deve orientare e ispirare tutti gli aspetti di un’organizzazione, creare il copione che le permette di agire in modo coerente e riconoscibile.
Se la sostanza che tiene insieme parole e azioni non c’è, naturalmente gli slogan diventano le espressioni più banali del mondo. Ma quando c’è, quando il miracolo avviene, possono cambiare una cultura in profondità. Think different. Just do it. Enjoy. Sono espressioni che contengono stili di vita, modi di vedere il mondo, universi, e hanno dato forma all’esistenza contemporanea con una forza decisamente superiore a quella della letteratura e dell’arte.
Fast forward
MATTEO
Quando scriviamo i testi che orientano la comunicazione di un’azienda, li chiamiamo “brand narrative”. Parliamo di storytelling, ed è giusto perché per noi il racconto è uno strumento strategico. La narrazione è il modo in cui gli individui danno senso alle esperienze, comprendono se stessi e il mondo, e si proiettano nel futuro. Lo stesso vale per le aziende.
Eppure lo sforzo di sintesi, scelta delle parole, selezione, condensazione richiesta dalla scrittura strategica, è più simile al lavoro che si fa quando si scrive una poesia. Perché una storia può essere riassunta, raccontata con parole diverse da quelle originali. Mentre una strategia ha bisogno di parole esatte, una tagline deve essere un ritornello unico e memorabile, un manifesto o un mantra sono fatti di poche parole distillate e scelte con cura, che se cambiate o parafrasate non hanno lo stesso effetto e lo stesso significato. Proprio come una poesia. E non si tratta solo di ottenere un effetto emotivo: come la grande poesia, il copywriting strategico deve avere anche una forza logica e di ragionamento, deve essere coerente e rigorosamente collegato alla realtà.
La scrittura per i brand deve essere emozionante e illuminante come una poesia, e concreta e pragmatica come un piano strategico. Deve coinvolgere le persone, parlare della loro vita, e convincere anche il CEO più orientato ai risultati.
PAOLO
Del resto se rovesciamo la prospettiva possiamo dire che la poesia ha già alcune caratteristiche del copywriting: la brevità, la concentrazione, la memorabilità.
I grandi versi che hanno segnato la storia letteraria e sono incisi nella memoria collettiva somigliano a delle tagline perfettamente riuscite. “Amor ch’a nullo amato amar perdona”. “E il naufragar m’è dolce in questo mare”. “To be or not to be?”. “M’illumino d’immenso”.
La poesia è una sintesi fulminea di situazioni emotive, condizioni psicologiche, conflitti esistenziali, tensioni culturali. Prende la vita, e la racchiude in frasi perfette e compiute come diamanti.
Purtroppo la gran parte della poesia contemporanea, quella che si scrive oggi, ha abbandonato la capacità di fare sintesi memorabili, e si è persa in labirinti di complicazioni inutili e oscurità. Il ruolo di dare voce in poche parole ai sentimenti profondi delle persone è passato nelle mani della musica leggera, delle canzoni. Che sono diventate il modo in cui noi umani occidentali sintetizziamo i nostri desideri e le nostre aspirazioni. Imagine, We can be heroes, Let it be, Blowing in the wind. Titoli come questi sono diventati le tagline di un’atmosfera, un periodo storico, di un modo di stare al mondo.
Sempre di più in futuro i messaggi di un brand avranno valore solo se sapranno diventare unici e memorabili, e quindi significativi, come quelli di una canzone o di una poesia. Raggiungere la stessa capacità di intercettare stati d’animo, tensioni esistenziali, problemi umani, movimenti culturali. Il futuro desiderabile per la comunicazione dei brand sarà ridare spessore culturale e psicologico ai propri messaggi, anziché inseguire le parole vuote che tutti pronunciano.
Parlare di poesia può sembrare esagerato, ma non lo è se pensiamo alla poesia come alla capacità di dare a un messaggio la forma più esatta ed efficace possibile, per farlo risuonare con le persone. La poesia rende ogni messaggio un patrimonio universale, perché entra a far parte della vita di tutti, del loro modo di esprimersi, di pensare e di provare emozioni. La lingua del futuro per i brand dovrà somigliare a qualcosa che proviene dal passato: dovrà avere la solennità, la forza, l’universalità della poesia. La capacità di capire la vita e racchiuderla in poche insostituibili parole.
In più, prima ancora di sostituire gli scrittori, l’automazione e gli strumenti potenziati dall’intelligenza artificiale promettono di sostituire i lettori: è probabile che tra le feature più rilevanti dei nuovi strumenti ci sia quella di riassumere e sintetizzare testi lunghi e complessi.
Gli articoli pieni di parole difficili che scrivevo un tempo tra poco avranno le macchine come uniche lettrici.
Per farsi leggere dagli umani bisognerà scrivere parole che non possono essere sostituite o parafrasate, che non possono essere dette in un altro modo. Bisognerà scrivere parole in grado di risuonare con le emozioni, i desideri, le paure, i bisogni delle persone. Come fanno le poesie.
Farsi leggere sarà prendersi una responsabilità, avere il coraggio di scrivere qualcosa per cui valga la pena dire alle persone: questo non potete saltarlo, tagliarlo, riassumerlo, riscriverlo per punti. Questo messaggio dovete leggerlo proprio così com’è, parola per parola, perché solo così potrete comprendere cosa significa per la vostra vita. Non è un’affermazione che si fa a cuor leggero, e questa è sempre stata l’ambiziosa follia dei poeti: essere convinti di avere qualcosa di importante da dire al mondo. Se varrà la pena spendere i pomeriggi del venerdì a limare un testo di marketing, sarà per farlo somigliare una poesia. Altrimenti sarà meglio tacere.
Standing ovation 🙌 Newsletter bellissima e necessaria.
Bellissima. E ode alla citazione di Vacchi! (“Enjoy”)