In questa newsletter raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
Diverse volte qui ci siamo chiesti come vorremmo che fosse il futuro del nostro abitare, del vivere insieme. Nei nostri Futuri Preferibili abbiamo immaginato città future costruite a partire dalle priorità delle persone, non delle macchine. Spazi rivitalizzati dal contatto con la natura. Città in cui i bambini possono correre e giocare liberi per le strade.
Ma che succede se i bambini non hanno più voglia di uscire per giocare? Se i ragazzi preferiscono stare chiusi nelle loro stanze piuttosto che passare il tempo fuori con gli amici?
Secondo molti segnali, è proprio questo che sta accadendo.
Gli imprenditori raccontano che le persone sono riluttanti a tornare in ufficio o a partecipare a incontri in presenza. Gli insegnanti e i professori segnalano quanto sia difficile riportare gli studenti nelle aule. E i genitori preoccupati chiedono: “È normale che i miei figli non vogliano più uscire di casa?”.
Fino a qualche anno fa si parlava di FOMO (Fear Of Missing Out – paura di perdersi qualcosa): la preoccupazione delle giovani generazioni era restare esclusi, restare fuori, non riuscire a prendere parte al marasma di cose che accadevano nel mondo.
Ora invece si parla di FOGO (Fear Of Going Out – paura di uscire): i più giovani sono spaventati dal correre rischi e dall’affrontare il mondo esterno, e scelgono di auto-escludersi.
Flashback
Un tempo la tecnologia cercava di capire e interpretare la realtà: questo era vero sia che si trattasse del cannocchiale di Galileo o del microscopio che ha rivoluzionato la biologia; sia nel caso di Hewlett e Packard, che hanno fondato la Silicon Valley costruendo strumenti per test e misurazioni.
Oggi, invece, le grandi aziende tech investono nella creazione di mondi virtuali, realtà simulate e spazi digitali. Vogliono che ci rifugiamo negli universi artificiali che mettono a nostra disposizione, allontanandoci sempre più dal contatto diretto con il mondo reale.
Le tech company non cercano più di facilitare il nostro rapporto con la realtà, ma di costruire ambienti digitali dove possiamo vivere senza affrontare il mondo fisico.
Atti un tempo comuni, come andare in ufficio o incontrare qualcuno di persona, vengono sostituiti da interazioni virtuali, più facili e prive di rischi, ma anche più distanti dal reale.
Questa fuga dal mondo concreto, alimentata dall’innovazione tecnologica, non riguarda solo il tempo libero o il lavoro, ma si è insinuata nella nostra vita quotidiana. La paura di affrontare situazioni semplici è diventata parte di una cultura che privilegia il comfort virtuale rispetto all’incertezza e alla complessità del mondo esterno. Siamo sempre più disposti a investire nei mondi digitali, mentre il mondo reale diventa qualcosa da evitare, percepito come fonte di disagio o vulnerabilità.
Così, invece di aiutarci a vivere meglio nel contesto reale, la tecnologia ci incoraggia a rifugiarci in spazi artificiali, lontani dalle sfide autentiche della vita. Questo isolamento rischia di renderci sempre meno capaci di affrontare e apprezzare la ricchezza e l’imprevedibilità della vita reale.
È una tendenza che vale per tutti noi, ma diventa particolarmente evidente nel caso dei più giovani: che hanno paura di parlare al telefono, si filmano mentre vanno nel panico se devono ordinare al ristorante, condividono il modo migliore di inventare scuse per cancellare piani e impegni sociali.
Pur di evitare l’imbarazzo, la frizione, la possibilità di un rifiuto, affermano che la scelta di isolarsi è una forma di benessere, e la FOMO si rovescia in JOMO - Joy of Missing Out, la gioia di non partecipare alla vita sociale. Celebrano l’isolamento come rifiuto della pressione sociale, ma il sospetto è che si trasformi nel rifiuto della vita.
La generazione che celebra la gioia di non uscire è quella che nella storia umana ha avuto più possibilità di sottrarsi alle interazioni faccia a faccia. Può fare quasi tutto ciò di cui ha bisogno senza interagire mai con altri esseri umani. Anche il significato di FOMO è cambiato per la Gen Z: prima era soprattutto paura di perdersi ciò che accadeva nel mondo; più recentemente è divenuta ansia di perdersi nel flusso dei contenuti e delle notifiche online, di non essere all’altezza delle performance richieste dai social.
Del resto fa impressione la sproporzione tra naturalezza dell’esposizione online e il disagio dell’esperienza offline: hanno paura di aprire la porta di casa a uno sconosciuto, e intanto si mostrano online a migliaia di persone.
In questo scenario si inserisce l’AI, che in una generazione così spaventata dal contatto umano trova la sua clientela ideale. Ed è pronta a offrire amici virtuali, supporto virtuale, educazione virtuale, partner e sesso virtuale. E la possibilità di sfuggire all’imbarazzo parlando con la tua collana, anziché con chi hai di fronte.
Fast Forward
Tutte le nuove tecnologie hanno generato nuovi comportamenti, accompagnati da inquietudini e preoccupazioni. C’è stata un’epoca in cui gli intellettuali lanciavano allarmi infuocati sulla pericolosità sociale dei libri stampati. Ci siamo già passati.
Nel mondo è in atto una discussione molto vivace sui danni causati dalla tecnologia, con uno scontro tra chi propone di vietare smartphone e social agli adolescenti, e chi invece risponde che si tratta solo del caro vecchio panico morale, e che non c’è correlazione tra la tecnologia e il disagio psicologico.
Noi siamo convinti che, come ogni tecnologia, la tecnologia digitale e il modo in cui è progettata ha un effetto profondo sulla mente umana, e che mai come in questa epoca storica controllare i comportamenti attraverso la tecnologia genera enormi profitti economici.
Allo stesso tempo, crediamo che la risposta a questa influenza non possa mai essere quella di tornare indietro, di ignorare o bandire l’innovazione. Abbiamo sempre dovuto trovare nuovi equilibri per fare posto alle tecnologie nelle nostre vite, accogliendo le opportunità senza ignorare i problemi che generano.
Per affrontare la crisi dell’isolamento e della solitudine bisogna andare avanti, e generare una serie di possibilità, esperienze, opportunità che facciano tornare alle persone un po’ di sana FOMO.
Paura di perdersi quello che succede nel mondo, di perdersi le persone, le loro vite, le esperienze che si possono fare in comune.
L’emergenza legata all’isolamento viene discussa ormai anche a livello sanitario, e ha fatto nascere linee guida e consigli pratici per provare a contrastarla. Noi proviamo a suggerire tre grandi movimenti che potrebbero portarci verso il Futuro Preferibile del nostro vivere insieme.
Esponiamoci. L’antidoto alla paura di uscire e di affrontare gli spazi aperti si chiama esposizione: la exposure therapy prevede la pratica di fare gradualmente e costantemente le cose che ci spaventano, che generano ansia e disagio. A ogni nuova esposizione scopriamo che il disagio diminuisce, mentre se continuiamo a sottrarci l’ansia non fa che aumentare.
Il valore dell’esposizione non riguarda solo chi ha delle forme di disagio psicologico. Riguarda anche il bisogno di esposizione agli stimoli culturali: cercare la diversità, l’inaspettato, il non comune può aiutarci a uscire fuori dalle abitudini consolidate e dalle bolle in cui ci rinchiudiamo. Non a caso uno studio che offre consulenza strategica ai brand, Concept Bureau, ha definito Exposure Therapy le esperienze formative che offre a strategist e consulenti. Abbiamo tutti bisogno di esporci, per migliorare, crescere e avere nuove idee.
Ristrutturiamo il mondo digitale. Sta a noi cominciare a rifiutare le piattaforme che vogliono farci perdere ciò che accade fuori, schermarci dalla vita, e cercare forme di connessione umane e autentiche. La tecnologia ha spesso in sé anche l’antidoto ai problemi che crea: dobbiamo costruire delle piattaforme di prossimità e di comunità, che diano incentivi per uscire e cercare il contatto con gli altri.
Ristrutturiamo il mondo fisico. Nella difficoltà delle persone a uscire a incontrarsi pesa anche il fatto che nelle nostre città le infrastrutture sociali sono spesso degradate. È difficile trovare ambienti accoglienti in cui incontrarsi liberamente, che non abbiano elementi ostili, o non siano difficili da raggiungere, o non siano a pagamento. L’isolamento si combatte anche costruendo piazze, parchi, strade pedonali, biblioteche, spazi liberati che favoriscano la socialità e l’interazione.
Da genitori ci confrontiamo spesso su come gestire con i nostri figli la questione screen time, il tempo di esposizione agli schermi. Non abbiamo una soluzione, ma sappiamo per certo che la contrapposizione schermo negativo / gioco analogico positivo è troppo rigida, non funziona, è del tutto inadatta al mondo in cui viviamo.
I nostri bambini hanno imparato cose incredibili giocando a un videogioco o guardando i cartoni animati (tipo Bluey, che è un autentico generatore di giochi off screen). Forse solo una cosa abbiamo capito: il nostro compito non è fare in modo che i bambini non si avvicinino agli schermi. Ma è fare in modo che abbiamo sempre un buon motivo per alzare la testa e guardare oltre.
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Sintetizzo alcune riflessioni: l'unico senso che se mancante è incompatibile con la vita è il tatto. Siamo vivi se esperiamo il tatto in tutte le sue forme. Soprattutto il contatto umano. Il digitale offusca l'effetto del contatto oculare e annulla quello reale, tra corpi. A questo si aggiunge il nostro bisogno ancestrale di guadagnarci una zona di confort che oggi ci è regalata o, dovrei meglio dire, pagata a caro prezzo, con interessi che pescano dalla nostra vita in qualità e quantità. Cosa fare? Tante cose e tra le tante ve ne condivido una: rendere consapevoli tutte le generazioni di questi effetti secondari del digitale per iniziare - si iniziare - ad abitarlo consapevolmente. Come abbiamo iniziato ad abitare consapevolmente questo mondo quando ci hanno educato sugli effetti secondari dell'industrializzazione e gli effetti sul movimento e sugli alimenti e abbiamo imparato e sentito nuovamente la necessità di muoverci, seppur in modo diverso e in luoghi diversi come le palestre - almeno inizialmente - e di abitare il mondo industrializzato imparando a scegliere consapevolmente - o quasi - in ambito alimentare non accettando o comprando le prime cose offerte e regala te (o rubate al nostro io futuro) dal mercato. Contorto? Complesso? Forse, eppur molto vero. Educare e rendere consapevoli è l'unica possibilità per abitare con naturalezza un mondo innaturale.