In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
MATTEO
Sono cresciuto e vivo tuttora a Cusano Milanino, un comune di 19mila abitanti a nord di Milano.
Il comune è diviso in due dalla “vecchia Valassina”, la strada che collega Milano con Bellagio: da una parte c’è Cusano, abitato già dal V secolo e simile in tutto ai comuni vicini; dall’altra il Milanino, un quartiere unico, edificato a partire dal 1912 e indicato dalle Poste Italiane come la prima Città Giardino d’Italia.
Il Milanino nasce per volontà di un uomo, Luigi Buffoli.
Buffoli era convinto che esistesse una relazione molto forte tra le persone e l’ambiente – e che se fosse riuscito a realizzare un quartiere migliore dove vivere, avrebbe anche contribuito a migliorare i suoi abitanti.
Stretto nella morsa della cementificazione selvaggia degli anni Sessanta e Settanta, il Milanino ha rischiato di essere soffocato dalla crescita tumultuosa della metropoli e delle sue periferie, prima di essere messo sotto tutela.
PAOLO
Dopo che mi hai raccontato la storia di Cusano Milanino mi è venuto in mente che io vivo vicino a Garbatella, un quartiere progettato negli anni Venti del Novecento proprio con l’idea di inglobare un’area quasi agreste all’interno della città di Roma, attraverso il modello della Città Giardino. E quindi, a partire da due esiti così diversi, ci siamo chiesti se l’idea della Città Giardino sia ancora attuale e possa rappresentare un Futuro Preferibile per le nostre città e per chi le abita.
Flashback
MATTEO
Ispirato dal movimento anglosassone delle Garden Cities, Buffoli pensa di creare una città giardino vicino a Milano. Nel 1908 costituisce la Cooperativa Inquilini insieme ad altri 1.500 soci e acquista 1,3 milioni di metri cubi di terreno a Cusano sul Seveso, decidendo di chiamare la nuova città Milanino.
Il progetto integra perfettamente città e campagna. Il centrale Viale Buffoli è la colonna vertebrale della nuova città verde, circondata da un tessuto edilizio caratterizzato da un centinaio di villini in stile eclettico e liberty, insieme a vari edifici pubblici come la sede della cooperativa, l’acquedotto, la chiesa e la scuola. Tutto intorno ci sono aree verdi, alberi secolari, marciapiedi erbosi e filari.
Il Milanino ha un suo impianto narrativo: i nomi delle vie si dividono tra quelli che richiamano i valori della Cooperativa (le vie Cooperazione, Benessere, Concordia, Costanza, Previdenza, Risparmio, Unione…) e quelli di piante e fiori (le vie Caprifoglio, Edera, dei Tigli, Fiordaliso, Ginestra, delle Genziane, delle Rose…).
E poi ovviamente c’è il nome: il Milanino è la piccola Milano, una sua estensione naturale secondo la visione di Buffoli. Che nel 1911 scriveva:
Non è dar prova eccessiva di fede il prevedere che non passerà gran tempo prima che la città di Milano abbia esteso la sua conquista fino a sei chilometri dal suo attuale confine. E allora sarà certo meritato onore della generazione presente di aver ideato e di aver contribuito al costituirsi di un’oasi verdeggiante che formerà uno dei punti più belli della città, in luogo degli attuali antiestetici quartieri.
La visione di Buffoli segue quella di Ebenezer Howard, il padre delle Garden Cities, che nel 1898 aveva pubblicato il suo Garden Cities of To-morrow. Howard si era innamorato dell’idea di creare nuove città per costruire un nuovo mondo. La sua città ideale era densa e percorribile come una città, ma circondata da cinture verdi naturali: doveva offrire tutto ciò che attira le persone verso la città (opportunità, luoghi di divertimento e palazzi sontuosi) e tutto quello che invece le attira verso la campagna (la bellezza e la tranquillità della natura).
Soprattutto – è questo forse l’elemento più disruptive dell’idea di Howard – la proprietà della Città Giardino doveva essere collettiva. Tutto il valore della proprietà della terra doveva rimanere nella comunità: ogni cittadino doveva essere un azionista e gli utili andavano reinvestiti nelle strutture civiche, non consegnati a investitori speculativi.
PAOLO
Anche Garbatella nasce come opera di edilizia popolare, pensata per ospitare gli operai che avrebbero dovuto lavorare in un porto commerciale ottenuto scavando un canale di collegamento tra il quartiere e Ostia. Il canale non fu mai scavato, e la mancata realizzazione del progetto economico sabota anche la piena riuscita del progetto urbanistico.
Per Howard la Città Giardino non era semplicemente una città con tanto verde: era un sistema socio-economico, alternativo e superiore sia al capitalismo, sia al socialismo. La parte economica del modello non poteva in alcun modo essere trascurata: accanto agli spazi verdi, la Città Giardino doveva offrire piena occupazione, alloggi accessibili, libertà e cooperazione. Il design e l’architettura erano sostenuti da un modello finanziario e da un sistema di democrazia partecipativa, all’interno del quale i residenti avevano un reale interesse in ciò che veniva costruito. Era davvero una nuova società.
MATTEO
Questa idea ora sopravvive soltanto a Letchworth. La città viene amministrata dalla Letchworth Garden City Heritage Foundation, che è il più grande proprietario terriero nella Città Giardino e gestisce il portafoglio immobiliare locale per generare reddito, da reinvestire nella comunità e nel paesaggio.
Dopo la morte di Howard, l’idea delle Città Giardino è gradualmente scivolata nell’oblio ed è stata trascurata nella pianificazione urbana. Quale senso e quale forma avrebbero oggi le nostre città, se le sue idee fossero state sviluppate?
Fast forward
MATTEO
La Town and Country Planning Association ha raccolto una serie di linee guida pratiche per la creazione delle nuove città giardino del XXI secolo.
I principi che ispirano queste guide sono:
reinvestimento del reddito delle proprietà a vantaggio della comunità;
coinvolgimento della collettività nelle decisioni amministrative;
proprietà collettiva dei terreni e gestione a lungo termine del patrimonio immobiliare;
case di diversa tipologia, accessibili a tutti;
ampia disponibilità di posti di lavoro a breve distanza dalla residenza;
case belle e creative con giardini, che combinano il meglio della città e della campagna;
sviluppo che valorizza l’ambiente naturale, con una rete di infrastrutture verdi, tecnologie a zero emissioni ed energy-positive per garantire la resilienza climatica;
strutture culturali, ricreative e commerciali di alta qualità in quartieri vivaci, socievoli e facilmente vivibili;
sistemi di trasporto integrati e accessibili, con mobilità pedonale, ciclistica e trasporto pubblico come forme di trasporto locale privilegiate.
A molti di questi principi sembrano fare eco tanti architetti e urbanisti contemporanei, tra i quali anche Stefano Boeri, quando parlano della città del futuro come ecosistema urbano, sociale e ambientale. Boeri sta sperimentando molte idee proprio a Milano, una città-arcipelago in cui, secondo la sua visione, i quartieri dentro i confini del comune dialogheranno con i comuni dell’hinterland. Ciascuno di questi quartieri-borghi potrà essere vissuto in modo autosufficiente, perché sarà dotato di un’ampia area pedonale e di servizi essenziali per la vita quotidiana, con la propria autonomia energetica. Ognuna di queste isole sarà collegata alle altre componenti dell’arcipelago metropolitano tramite un sistema di corridoi verdi, ricchi di biodiversità vegetale. A collegarle ci sarà non solo la natura vivente, ma anche infrastrutture all’avanguardia di mobilità pubblica e condivisa.
PAOLO
Un po’ come per Howard, nella visione degli urbanisti-paesaggisti c’è la volontà di contrastare la tendenza che ha dominato le nostre città dal boom economico in poi, quella cioè di mangiarsi progressivamente la campagna a colpi di cementificazione e consumo di suolo. Al contrario: dovrebbe essere la campagna a entrare in città per riprendersi parte del suo spazio, e per rendere gli spazi urbani più resilienti al cambiamento climatico. Le città senza alberi e senza spazi verdi rischiano di diventare presto invivibili.
Questa è una lezione importante che ci viene dal movimento delle Città Giardino: dobbiamo creare un futuro in cui la società umana e la natura possono evolvere insieme. Ma da Howard abbiamo una lezione ancora più importante da imparare, cioè che è possibile immaginare idee alternative per il tipo di luoghi in cui le persone dovrebbero vivere.
MATTEO
Nuove città nascono in tutto il mondo, ma sembrano progetti pensati per soddisfare l’ego dei promotori e dei costruttori, anziché servire le comunità che dovrebbero abitarle: la Neom di Mohammed Bin Salman, la Woven City di Toyota, la Telosa di Marc Lore, ex CEO di Walmart… Tutti progetti affascinanti, in luoghi inaspettati e suggestivi, guidati da una visione modernista e futuristica del mondo, ma in qualche modo “scollegati” dalle persone e dalle loro aspettative.
Quando pensiamo alle nostre città e all’ambiente che ci circonda, di solito, tendiamo ad accettare ciò che esiste come immutabile. Eppure, alla fine del diciannovesimo secolo alcune persone hanno osato credere che fosse possibile vivere in un modo radicalmente diverso, sperimentando con nuove esperienze di città e dando vita a nuove comunità utopiche, che sono partite dal coinvolgimento delle persone nella pianificazione, nell’amministrazione e persino nella proprietà dei luoghi.
Questo è l’atteggiamento che dovremmo recuperare dal passato: dobbiamo avere il coraggio di immaginare il futuro delle nostre città liberi dai vincoli e dai pregiudizi, guardando più lontano di noi e dei nostri interessi, esattamente come hanno fatto Howard e Buffoli.
Magari partendo proprio da comuni come Cusano Milanino, piccoli e vicini alle grandi città, che proprio per questo possono rappresentare un modello di sperimentazione per costruire luoghi socialmente ed economicamente di successo: luoghi che miglioreranno nel tempo, in cui le persone vorranno vivere per le generazioni future.
PAOLO
La Città Giardino è un altro bell’esempio dell’importanza di viaggiare nel tempo: troppo spesso andiamo a cercare soluzioni nel futuro remoto, in dimensioni lontanissime dalle esigenze umane, e trascuriamo gli spunti di autentica innovazione che potrebbero venirci dal passato prossimo, che è prossimo nel senso che ha affrontato problemi vicini a quelli che siamo chiamati ad affrontare noi oggi.
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Abito a Milano da decenni e non sapevo nulla della storia di Milanino! Grazie per averla raccontata.