In questa newsletter raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
Questo weekend siamo stati ospiti del Deadline Festival, l’evento di design organizzato da Talent Garden in collaborazione con Caffè Design e Monogrid (grazie a Matteo Marchesano per aver creato un evento super!).
Una delle slide più apprezzate e ripostate della nostra presentazione diceva:
The more people feel well, the better they perform at work.
Tradotto, esiste una connessione molto forte tra il benessere delle persone e la loro capacità di essere produttivi durante il lavoro.
Una recente ricerca di Gallup mostra che, nel 2023, il senso di partecipazione e coinvolgimento di lavoratori e lavoratrici sul posto di lavoro è rimasto stagnante, mentre il loro benessere complessivo è diminuito. La maggior parte delle persone nel mondo continua a fare fatica sia al lavoro, sia nella vita, con ripercussioni dirette sulla produttività delle organizzazioni.
In Italia solo il 5% degli intervistati si dichiara attivo e coinvolto nel proprio lavoro, mentre si registrano alti livelli di stress quotidiano (46%). Il risultato è che molte persone non solo si sentono scollegate dall’organizzazione per la quale lavorano, ma addirittura remano contro il suo successo. Un dipendente su quattro cercherebbe addirittura di sabotare la propria azienda “minando quello che i colleghi impegnati realizzano” e “opponendosi attivamente ai suoi obiettivi”.
Come possiamo, nel nostro Futuro Preferibile, fare in modo che le persone trovino un equilibrio tra la vita e il lavoro, e che il loro benessere favorisca anche la produttività delle organizzazioni per le quali lavorano?
Flashback
Nel 1978 Richard Bolles ha scritto un libro dal titolo “The Three Boxes of Life, and How To Get Out of Them".
La sua tesi individua tre fasi della vita degli individui fortemente marcate da un’attività prevalente, e nettamente distinte tra loro:
iniziamo con un’enorme quantità di apprendimento – sono gli anni della scuola;
seguono anni occupati da una grande quantità di lavoro;
infine, abbiamo a disposizione molto tempo libero (la pensione).
Le tre dimensioni della vita coincidono rigidamente con la nostra età anagrafica e sono scollegate tra loro.
Esiste un tempo per imparare, un tempo per lavorare e produrre, un tempo per riposarsi.
Questa tripartizione netta si porta dietro alcune conseguenze pesanti, tra le quali i traumi associati al passaggio da una fase all’altra (che fatica trovare un lavoro! che fatica smettere di lavorare per andare in pensione!) e le limitazioni nell’esplorare altre opportunità al di fuori della “scatola” nella quale ci troviamo.
Infine, queste fasi isolate spezzano la nostra ricerca di uno scopo, ci fanno spesso perdere il filo dei nostri desideri e delle nostre aspirazioni, e rendono più difficile vivere una vita piena e significativa.
Come ci siamo arrivati?
La divisione della vita in tre blocchi separati ha origine con la trasformazione della nostra economia da agricola a industriale. Più tecnologia nei campi significava che più cibo poteva essere prodotto e distribuito a un costo inferiore. Quindi, minore bisogno di manodopera agricola, e maggiori risorse per sviluppare attività commerciali, artigianali e industriali.
Così, mentre l’occupazione agricola diminuiva, l'occupazione nelle fabbriche aumentava. All'inizio del Novecento le fabbriche avevano bisogno di lavoratori che potessero leggere, scrivere e fare calcoli con una ragionevole competenza. Ciò significava che un sistema scolastico basato sull’esclusione non era più adeguato per formare una forza lavoro pronta per la fabbrica: in molti Paesi nacque così un sistema nazionale in grado di educare i lavoratori di cui i proprietari delle fabbriche avevano bisogno, portando alla creazione di istituzioni come le scuole superiori.
Allo stesso modo, il sistema pensionistico è nato come cassa di previdenza per l'invalidità e per la vecchiaia degli operai. E quindi anche questa “conquista” è stata modellata dal sistema industriale.
In sostanza l’economia ha guidato la tripartizione delle nostre vite, partendo dall’idea che negli anni in cui un essere umano ha forza per lavorare deve produrre al massimo; per farlo deve essere adeguatamente istruito; infine, dopo aver speso tutte le energie nel lavoro, può godersi qualche anno di meritato riposo.
Inutile dire che questa tripartizione non funziona più.
Il modello di istruzione dell’era industriale era progettato per formare le persone su larga scala, e dare a tutti una formazione standard che, con minime variazioni e qualche upgrade ben regolamentato - le lauree e le iscrizioni agli ordini professionali - avrebbe instradato ognuno verso il lavoro da fare per tutta la vita.
Un sistema progettato così non è più adeguato a preparare i giovani alla vita professionale in tempi di rapidi cambiamenti. Abbiamo bisogno di un nuovo modello di apprendimento che duri per tutta la vita e ci aiuti ad adattarci costantemente a un mondo in continua evoluzione. Allo stesso modo, anche per il fatto che stiamo vivendo e lavorando più a lungo dei nostri nonni o genitori, dobbiamo ripensare completamente il periodo della nostra vita che chiamiamo pensione.
Fast forward
Abbiamo già scritto in questa newsletter del concetto di work-life alliance. Facciamo ora un passo in avanti dicendo che per raggiungere un Futuro Preferibile di benessere personale e lavorativo tutte le tre dimensioni in cui sono meticolosamente ripartiti i nostri anni – educazione, lavoro e riposo – dovrebbero essere in perfetto equilibrio e coesistere in ogni momento della nostra vita.
In questo senso lo sport è una bellissima metafora. Ogni sportivo sa che per rendere al massimo ha bisogno di allenarsi e prepararsi alla gara. Ma non è tutto: serve il giusto riposo, prima e dopo la gara.
La performance è al suo massimo quando c’è equilibrio tra il momento della gara, l’allenamento costante per arrivare preparati e il giusto riposo prima e dopo.
Come si fa a portare questo equilibrio nella nostra vita, rompendo la tripartizione in scatole separate?
Bisogna rimescolare le tre dimensioni e redistribuirle - tirarle fuori dalle scatole insomma -, in modo che siano presenti tutte contemporaneamente in ogni fase della nostra vita.
L’obiettivo dell’educazione dovrebbe essere quello di formare problem seeker e problem solver in ogni età della vita:
da bambini e ragazzi: meno educazione frontale, più apprendimento basato su “project work”, pensiero critico, collaborazione, educazione sui valori fondamentali, uso della tecnologia per creare percorsi di formazione personalizzati;
da adolescenti e giovani adulti: promuovere l’autovalutazione per capire quando esattamente un giovane è pronto per iniziare un percorso lavorativo di un certo tipo. Evitare schemi pre-compilati (tot anni di università, di formazione, di tirocinio…). Dare ai giovani la possibilità di sbagliare, di creare un loro percorso “imprenditoriale” che li metta alla prova con vari aspetti del lavoro, che gli faccia apprezzare il lavoro da un punto di vista “olistico”;
da adulti: esattamente come facciamo check up dal medico, dovremmo imparare a fare dei self check up per capire a che punto è il nostro percorso professionale, se ancora c’è un match tra le nostre aspirazioni, le nostre capacità e la richiesta del mercato. Il tempo in cui facciamo uno stesso lavoro per tutta la vita è finito, servono percorsi di formazione continua che ci aiutino a conoscerci meglio, a capire l’evoluzione delle nostre domande e a orientare le nostre scelte lavorative in ogni momento della vita, non solo dopo l’università.
L’obiettivo del lavoro dovrebbe essere quello di metterci alla prova con sfide importanti e difficili in ogni età della vita. Il lavoro dovrebbe cioè essere un’opportunità di crescita e di sviluppo retribuita.
Tuttavia, il nostro rapporto con il lavoro è ancora molto legato a un concetto industriale: scegliamo un lavoro, lo svolgiamo per anni a tempo pieno, lo lasciamo solo a prezzo di un grande stress (soprattutto se a decidere non siamo noi, ma il nostro datore di lavoro).
La nuova era del lavoro spacchettato e distribuito impone un cambiamento culturale epocale: passare da una professione a un portfolio di lavori e progetti, che possono essere svolti in ogni momento, a prescindere dalle “mansioni”, con forme contrattuali diverse – a tempo pieno, a contratto, come apprendistato, fractional (già una realtà in paesi come la Svizzera), cooperativo, abilitato da applicazioni della gig economy, basato sulla vendita o la condivisione di prodotti e servizi.Il Survey 2024 di Deloitte su Millennial e Gen Z mostra come circa il 45% della Gen Z e il 36% dei Millennial intervistati dichiarano di avere lavori secondari. Vendita di prodotti o servizi online, lavori flessibili come il ridesharing o la consegna di cibo, perseguire ambizioni artistiche o lavorare in un ristorante o in un negozio al dettaglio, tra le altre cose. Già nel 2016 l’economista Jeff Sachs scriveva che:
In futuro cambiare lavoro dovrebbe diventare la norma; la formazione e l’aggiornamento delle competenze dovrebbero essere continui, e l’assistenza sanitaria e altri benefici di welfare dovrebbero seguire i lavoratori, non essere legati alle organizzazioni.
Anche l’organizzazione dovrebbe in futuro facilitare la propria mobilità interna, sollecitando i propri lavoratori a cambiare posizione e orchestrando la collaborazione in base ai problemi che l’organizzazione deve risolvere, riducendo l’impatto dei processi e dei manager sull’esercizio effettivo del lavoro.L’obiettivo della “pensione” dovrebbe essere quello di permettere a chiunque di godere di un periodo di riposo e di interruzione della routine lavorativa, in ogni età della vita. Per fare questo, il concetto stesso di pensione dovrebbe essere superato e ripensato completamente.
Uno dei temi più attuali per chi si occupa di risorse umane all’interno delle organizzazioni è l’age diversity management: gestire la convivenza di generazioni diverse dentro una stessa azienda è una sfida per nulla semplice. È difficile perché le aziende sono ancora organizzate in modo monolitico: un neo-assunto e un lavoratore prossimo alla pensione hanno lo stesso contratto, che li impiega negli stessi task per uno stesso numero di ore alla settimana. E perché la questione dell’età innesca opinioni polarizzate: i giovani sono il futuro o non sanno nulla del lavoro, gli anziani sono da rottamare o sono quelli che tengono ancora in piedi il business...
Se permettessimo a ciascuno – in base non all’età, ma a quello che ha da offrire all’organizzazione – di lavorare secondo i propri ritmi, con forme contrattuali e di retribuzione commisurate all’effettivo contributo, ne beneficerebbero sia l’organizzazione, sia i lavoratori. Una persona giovane, per esempio, avrà bisogno di spendere tanto tempo al lavoro, sia perché deve imparare, sia perché ha tante energie e idee da investire sui progetti; una persona più anziana, al contrario, potrebbe dividere il suo tempo in un portfolio di consulenze e vendere la propria esperienza a diverse organizzazioni.
Ancora, per permettere a chiunque di godere del riposo necessario per lavorare meglio in ogni fase della vita dovremmo imparare a gestire diversamente le nostre finanze. Serve una nuova cultura del risparmio e dell’investimento e nuovi programmi aziendali e statali che permettano a tutti di vivere senza dipendere interamente dal lavoro. Dobbiamo poter ridurre, quando ci serve, la quantità di lavoro retribuito necessario per vivere, senza la necessità di aspettare l’età della pensione.
Nell’antica Grecia, a chi passava davanti alle porte di Tebe la terribile sfinge poneva un enigma: “Quale animale cammina al mattino su quattro zampe, al pomeriggio su due e alla sera su tre? Quando il numero delle zampe è maggiore, minore è la sua forza”. Chi non era in grado di risolvere l’enigma veniva strangolato dal mostro. Edipo è stato il primo a dare una risposta: quell’animale è l’essere umano, nelle sue tre diverse età della vita.
Il nostro compito, oggi, è riscrivere l’enigma della sfinge per sfuggire alla presa soffocante del mostro che vuole costringerci a essere, per ogni fase della vita, una e una sola cosa.
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Bibliografia minima:
https://www.100yearlife.com/the-book/ (2016)
https://profandrewjscott.com/the-longevity-imperative/ (2024)
Super interessante