In questa newsletter raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
In questo lungo ponte di Liberazione ci siamo presi del tempo per stare con le nostre famiglie e leggere qualcosa di nuovo. Circa sei mesi fa Matteo ha avuto una diagnosi di celiachia e da allora un amico gli ha consigliato spesso di leggere il libro che il campione di tennis Novak Djokovic ha scritto nel 2013: Serve to Win: The 14-day Gluten-free Plan for Physical and Mental Excellence, in italiano Il punto vincente.
Lo abbiamo letto e ci è sembrato un ottimo punto di partenza per scrivere dell’evoluzione del nostro corpo – e del nostro rapporto con il suo stato di forma e salute.
Prima del 2011 Djokovic giocava a tennis ad altissimo livello, ma soffriva: si sentiva spesso stanco, senza energie, lento e fuori forma, nonostante passasse tutte le sue giornate ad allenarsi. Tutto è cambiato quando ha modificato la sua alimentazione: eliminando prima il glutine, poi i latticini – e prediligendo una dieta a base di verdure, fagioli, carne bianca, pesce, frutta, noci, semi, ceci, lenticchie e oli salutari, Djokovic ha vinto tutto e frantumato ogni record.
La lettura del libro, scritto più di 10 anni fa, si è intrecciata alle conversazioni che abbiamo fatto recentemente con Simone a proposito di alimentazione, questa volta a partire da un altro libro: Glucose Revolution di Jessie Inchauspé, biochimica francese specializzata nello studio degli effetti dell’alimentazione sulla salute. Nel libro, la scienziata spiega che regolare la curva del glucosio è l’azione più efficace che possiamo fare per la nostra salute. Per tenere sotto controllo il picco glicemico possiamo mettere in pratica quattro semplici accorgimenti:
fare una colazione salata;
bere un cucchiaio di aceto al giorno;
iniziare pranzo o cena con un antipasto di verdure;
muoverci dopo aver mangiato.
E ancora, abbiamo scoperto che intorno a noi sempre più parenti o amici stanno utilizzando Yuka, l’applicazione mobile che decifra le etichette e analizza l’impatto di prodotti alimentari e cosmetici sulla nostra salute. Sembra che l’app sia molto diffusa – si parla di 40 milioni di utenti, con l’Italia al primo posto per download.
Incrociando questi e altri segnali ci siamo chiesti: che cosa ci racconta questa rinnovata attenzione per la salute del nostro corpo? A quali trasformazione sociali e psicologiche più ampie è collegato? Quale futuro preferibile prepara?
Flashback
Nel 2014 l’antropologo e professore di Harvard Daniel Lieberman ha scritto un libro dal titolo The Story of the Human Body: Evolution, Health and Disease.
La tesi di Lieberman è che la salute del nostro corpo è strettamente intrecciata alla sua storia evolutiva, a come è cambiato nel corso dei millenni in relazione all’ambiente circostante.
Ci sono voluti milioni di anni perché Homo Sapiens si evolvesse distaccandosi dalla fisiologia degli scimpanzè e degli ominidi. Tuttavia, da quel momento in poi, in meno di dieci generazioni Sapiens ha radicalmente cambiato il suo modo di vivere, adottando uno stile di vita completamente diverso rispetto a quello per cui i nostri corpi si erano originariamente evoluti.
Questi cambiamenti hanno creato delle discrepanze tra la nostra evoluzione biologica e la nostra evoluzione culturale e sociale. Molte delle malattie e dei disagi che sperimentiamo oggi, come l’ipertensione, il cancro o le carie, derivano proprio da queste discrepanze, da questo disallineamento.
In breve tempo abbiamo introdotto cibi, sostanze e stili di vita che il nostro corpo non è in grado di supportare integralmente.
Per la prima volta nella storia dell’umanità abbiamo a disposizione cibo in eccesso. Tuttavia quasi tutto ciò che consumiamo oggi è allevato, raccolto, elaborato, distribuito attraverso l’utilizzo di macchine e additivi chimici. Gli alimenti trasformati in questo modo contengono enormi quantità di pesticidi, fertilizzanti inorganici e antibiotici. E soprattutto contengono più zuccheri e amidi, che richiedono meno energia per essere digeriti, causando picchi nei livelli di zucchero nel sangue ai quali i nostri corpi non sono abituati.
Ma anche gli oggetti e gli strumenti che facilitano la nostra vita, generano comfort, semplificano le operazioni quotidiane - le scarpe, gli occhiali, le sedie - possono avere effetti collaterali negativi, perché sollecitano il nostro corpo in modo contrario rispetto alle sue tendenze naturali. Lo costringono ad assumere posture non previste dal processo evolutivo.
È come se gli stili di vita del XXI secolo fossero fuori sincrono rispetto ai nostri corpi, che da un punto di vista biologico sono ancora progettati per sopravvivere nell’età della pietra.
Mai siamo stati così sani e longevi, e allo stesso tempo mai così inclini a una serie di problemi che, fino a poco tempo fa, erano rari o sconosciuti – dall’obesità, all’asma, al diabete.
Con l’evoluzione delle società e delle istituzioni umane, sempre di più i contesti in cui siamo immersi sono diventati costruzioni umane, ambienti artificiali da cui la natura è stata per lo più esiliata. L’unico residuo di natura all’interno di questi ambienti artificiali è proprio il corpo umano, che non è una costruzione umana e che, paradossalmente, è più resistente alla manipolazione umana.
Non potendo artificializzarlo del tutto, abbiamo provato a sostituire il corpo, a limitare la sua influenza nelle nostre vite. Abbiamo costruito macchine per svolgere attività complesse che prima erano un’esclusiva del lavoro umano. Abbiamo costruito un network di comunicazione globale che riduce drasticamente le limitazioni fisiche dovute al nostro corpo, che è sempre qui e ora. Abbiamo costruito ambienti virtuali in cui poter fare esperienze che sono in tutto e per tutto reali, pur non essendo fisiche.
La conseguenza estrema di questo processo di superamento è che il corpo diventa superfluo, anzi, un peso: poiché non assolve più ad alcuno scopo, e costituisce un limite alla nostra evoluzione culturale, lo critichiamo, lo svalutiamo e lo disprezziamo. Complice anche un’abitudine culturale millenaria che ci ha insegnato a pensare il corpo come un elemento “inferiore”: inferiore alla mente, per la tradizione filosofica, e inferiore all’anima, per quella religiosa.
Proprio parlando di religione, la scorsa settimana siamo partiti dalla serie Netflix Il problema dei 3 corpi (allerta spoiler!): quando è il momento di inviare Will nello spazio, il suo corpo non solo non serve, ma è un limite, perché pesa troppo. L’unica cosa che conta è il suo cervello.
Fast forward
Trascurare il corpo, però, ha delle conseguenze, e costa caro tanto agli individui quanto alla società, perché ha un notevole impatto sulla salute pubblica. Negli ultimi anni, proprio per questo, siamo stati raggiunti da moltissimi messaggi che ci invitano a curare meglio la nostra salute: dalle conversazioni con il medico di base alle campagne istituzionali di informazione. Prendiamoci cura del nostro corpo, è la sostanza del messaggio, in modo da “prevenire” le malattie più gravi.
A questo discorso diffuso hanno fatto eco i brand e le aziende, che lo hanno potenziato attraverso uno storytelling evocativo e alcuni messaggi ispirazionali. Nike, ad esempio, ha scritto nella sua missione che “chiunque abbia un corpo è un atleta”. Così facendo ha trasformato i propri prodotti da semplice abbigliamento sportivo a uno strumento che permette alle persone di riscoprire il proprio corpo biologico, quello che si è evoluto per vivere nell’età della pietra, quello progettato per camminare, saltare, correre anche per 10-15 chilometri al giorno.
Adesso però, con la diffusione di applicazioni come Yuka, o con il successo di idee simili a quelle di Djokovic o di Glucose Revolution, siamo ben oltre la prevenzione, e siamo anche oltre lo storytelling che ci sprona a ritrovare l’atleta che è in noi. Siamo invece in pieno hacking dei nostri corpi.
La dieta di Djokovic o la rivoluzione del glucosio sono il frutto di una nuova interpretazione che diamo del corpo: non più un peso per la nostra evoluzione, ma una macchina da ottimizzare, l’hardware da programmare per rendere efficiente il nostro cervello-software.
Grazie agli strumenti di tracciamento digitale possiamo permetterci un hacking iper-personalizzato del nostro corpo, perché se c’è una cosa che abbiamo imparato in materia di alimentazione o di esercizio fisico è che ciò che funziona per qualcuno non è detto funzioni per tutti. Così ciascuno di noi può modellare la propria dieta e il proprio specifico piano di esercizi fisici e mentali sulla base delle proprie caratteristiche psico-fisiche.
È la rivincita della tecnocrazia su uno degli ultimi baluardi della natura, il nostro corpo. Non solo abbiamo imparato a conoscerlo (con la scienza e la medicina, per prevenire e guarire), ma lo possiamo hackerare a nostro vantaggio, in modo da riprogrammarlo per rispondere meglio ai nostri bisogni.
Tutto ciò non ha nulla a che vedere nemmeno con l’estetica: non hackeriamo il nostro corpo per renderlo più bello, ma per renderlo più efficiente, come fosse una macchina. Così a beneficiare dei nostri sforzi è soprattutto il software-cervello, la nostra capacità di performare meglio nelle situazioni che richiedono il massimo dello sforzo e della concentrazione. E quindi il corpo torna a essere uno strumento apprezzato per la funzione che assolve (custodire la nostra intelligenza e la nostra spiritualità).
Non a caso la cultura degli ultimi anni ha messo in atto una diffusa rivalutazione del corpo, che viene elogiato ed esaltato ma sempre nella misura in cui può essere addomesticato, tenuto sotto controllo, modellato in vista di un obiettivo.
L’esito più logico di questa tendenza è la fusione definitiva tra essere umano e macchina, che viene annunciata e auspicata da più parti, e di cui si vedono i primi segnali nelle interfacce cervello-computer impiantate nel nostro corpo.
È un percorso possibile, può anche darsi che l’umanità sceglierà di intraprenderlo, ma per farlo diventare un Futuro Preferibile dobbiamo chiederci: che cosa faremo con questi corpi aumentati e iper-performanti? Come possiamo usare la capacità di hackerare i nostri corpi e potenziare le nostre menti? In che modo riequilibrare e rendere più efficiente il sistema corpo-mente può rendere migliori le nostre vite, le nostre relazioni con gli altri, la nostra società?
Forse Djokovic può aiutarci a rispondere a queste domande.
Cambiate alimentazione e vi sentirete meglio.
Potreste dimagrire, avere un aspetto più sano e sentirvi improvvisamente pieni d'energia. Le persone intorno a voi potrebbero accorgersi della differenza e farvi i complimenti. Potreste attirare qualche sguardo di ammirazione da perfetti e affascinanti sconosciuti.
Sono tutti risvolti positivi, ma a parte un temporaneo aumento dell’autostima e un sorriso, che cosa vi procureranno realmente? Niente. Proprio niente.
Perché dimagrire e avere energia illimitata non sono obiettivi. Piuttosto, preferirei vedeste questi aspetti come li vedo io: non come obiettivi ma come strade.
Il vero obiettivo è in fondo alla strada.
Il traguardo dovrebbe riguardare le prestazioni: nel lavoro, nello sport, nelle relazioni interpersonali. Magari desiderate una promozione, ed essere più sani vi permetterebbe di lavorare meglio e per più ore al giorno, se necessario. Oppure volete fondare l’azienda dei vostri sogni e vi occorrono la scintilla e la voglia di fare che oggi non avete. In ambito sportivo, potreste voler vincere un torneo [...], o completare una gara di triathlon. Magari volete semplicemente sentirvi più vicini a vostra moglie o a vostro marito, oppure trovare un nuovo compagno o compagna.
Ecco dunque la sfida che voglio lanciarvi, nonché il segreto del successo che vorrei facciate vostro: se all’improvviso vi sentirete meglio, più attraenti e in grado di lavorare meglio, sarete pronti a perseguire i vostri obiettivi? Saprete sfruttare questo vantaggio? Lo userete per correre verso il traguardo?
Cambiate le cose e divertitevi a cambiarle, ma non lasciate che il cambiamento sia il vero obiettivo. Consideratelo una strada verso mete più alte e più importanti.
Tenetevi pronti.
Il corpo che ci siamo forgiati nel corso dell’età della pietra è stato circondato da nuovi ambienti, ha a disposizione nuovi strumenti, si trova ad affrontare problemi vertiginosamente più complessi. Ma una cosa non è cambiata: ascoltarlo, prendercene cura e restare allineati con i suoi bisogni è un modo per tenerci pronti. E puntare, come dice Djokovic, verso mete più alte e importanti.
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