In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Andiamo?
Noi siamo qui
O meglio: eravamo lì. In ferie. Tutti e tutte contemporaneamente, nelle settimane centrali di agosto.
E sicuramente ci siamo riposati, abbiamo staccato, abbiamo visto posti nuovi e suggestivi. Però ci siamo anche ritrovati in luoghi molto affollati, abbiamo pagato prezzi a volte irragionevoli, e abbiamo fatto esperienze non sempre autentiche.
I luoghi delle vacanze infatti tendono spesso a snaturarsi, a modellare la propria organizzazione e la propria economia sulle esigenze dei turisti. Fino al paradosso: andiamo in vacanza per riposarci, per fare esperienze interessanti, per conoscere luoghi e culture che non conosciamo. Cerchiamo in luoghi lontani ciò che non riusciamo più a trovare nei luoghi in cui viviamo: una vita più autentica e piena di senso. E invece ci stressiamo, facciamo esperienze stereotipate, e i luoghi in cui cerchiamo l’alterità si trasformano per piegarsi a ciò che i turisti si aspettano.
Il turismo è un viaggio fatto inseguendo la pura esperienza del cambiamento, come si legge in Hosts and Guests, un libro classico che ha fondato l’antropologia del turismo. Del resto tradizionalmente il viaggio è per eccellenza l’esperienza della trasformazione: pensiamo alle migrazioni, ma anche a quando cambiamo città per studiare o lavorare.
Quando partiamo per un viaggio turistico, invece, sappiamo che torneremo esattamente al punto di partenza: saremo le stesse persone, crederemo nelle stesse cose, avremo gli stessi interessi e lo stesso status sociale. Col risultato che non siamo noi a cambiare, ma i luoghi invasi dal turismo.
L’unico cambiamento che avviene è quello che infliggiamo ai posti e alle comunità che visitiamo.
Tutto questo mentre il mondo fuori - in Italia più che altrove - si ferma: ogni attività umana sembra impossibile per un mese intero, con conseguenze non sempre positive sul lavoro, sulla vita delle famiglie, e sulla nostra stessa idea di vacanza.
Possibile allora che le nostre ferie si siano trasformate in una specie di trappola? Che cosa sta succedendo al nostro rapporto con il viaggio, con il tempo libero, ma anche con la scoperta e l’esplorazione?
Flashback
Molto prima che diventasse sinonimo di vacanza, il viaggio era un’esperienza rara, preziosa, spesso anche pericolosa e piena di incertezze. Il viaggio era un’avventura senza garanzie, legata alla necessità, oppure a una volontà profonda di scoperta e di conoscenza.
Nel corso del Settecento si afferma la pratica del Grand Tour: il viaggio formativo che i rampolli dell’aristocrazia e delle élites europee facevano in Europa, e particolarmente in Italia, per conoscere e studiare i luoghi dell’antichità. È la prima forma di turismo, ovvero di viaggio senz’altro scopo al di là della visita di un luogo diverso dal proprio.
Con l’affermarsi della civiltà industriale, l’aumento del benessere medio e la liberazione di una parte del tempo delle persone, il viaggio e la vacanza diventano un’esperienza sempre più diffusa. Fino all’affermarsi, a metà del Novecento, del turismo di massa, che crea una vera e propria industria, una geografia delle mete più ambite, dei nuovi flussi di movimento, e un calendario abbastanza rigido che scandisce il tempo del lavoro e quello delle vacanze.
Il turismo è il viaggio quando lo fanno gli altri, ha scritto Agnes Callard del “New Yorker” in un suo pezzo contro il viaggio.
Il turismo di massa ha standardizzato luoghi ed esperienze, e così negli ultimi anni sono nate le variazioni e le combinazioni più disparate, grazie anche alla rivoluzione del mondo dei trasporti, la comparsa dei voli low cost, e la nascita delle piattaforme che hanno reso più facile e dinamico l’accesso alle strutture ricettive. Ecco quindi il turismo enogastronomico, quello esperienziale, quello estremo, quello spirituale, e così via.
Ma il risultato è stato un ampliamento dell’offerta turistica, non un recupero dell’esperienza originaria del viaggio. Anzi: la spasmodica ricerca dell’esperienza turistica autentica rende sempre più inautentici i luoghi, cristallizzati in una visione idealizzata che li priva di ogni speranza di cambiamento.
Non basteranno più le trattorie tipiche, i borghi dell’Appennino, e le piattaforme che promettono di farci vivere come le persone del posto. Più ne nascono, meno la loro promessa sarà credibile (senza considerare il loro impatto sul mercato immobiliare, e le pratiche ai confini della legalità).
Nel 2020 il Covid ha fermato tutto, ci ha chiusi in casa, ha sgombrato le strade e i cieli. Con l’effetto di generare ancora più voglia di movimento e fame di esperienza. Dopo le riaperture la macchina del turismo sembra diventata ancora più frenetica e vorace. Complice anche la spinta propulsiva dei social network, e in particolare di Instagram: la rappresentazione social dei luoghi più esclusivi ne moltiplica l’attrattività. Dopo essere entrate nelle stories degli influencer, le mete turistiche diventano più ambite, e destinate a essere invase da eserciti di altri aspiranti influencer.
E così con le spiagge affollate e i sentieri di montagna frequentati come le vie del centro, ci ritroviamo imprigionati dentro vacanze che promettono di farci diventare persone migliori, e invece tirano fuori il peggio di noi.
Se siete tornati stanchi dalle vacanze, quindi, non è solo colpa vostra: l’iperturismo ormai è un problema largamente riconosciuto. L’impatto delle vacanze sui luoghi, sulla vita delle comunità e delle persone viene considerato in modo sempre più attento, e il modello delle ferie obbligate viene messo in discussione sia dal punto di vista individuale, che da quello sociale e lavorativo.
Fast forward
Guardando al futuro è difficile immaginare un’inversione del trend: il reddito medio globale aumenta, i livelli di povertà assoluta diminuiscono, milioni di persone, soprattutto in Cina e in India, stanno diventando classe media, e quindi si preparano a prendersi il diritto di conoscere il mondo.
Oggi solo il 7% dei cittadini cinesi ha un passaporto, contro il 40-50% degli occidentali. Nel 2030 i cinesi che viaggeranno fuori dal loro Paese saranno 600 milioni. Secondo la World tourism organization (Unwto) i viaggi internazionali dovrebbero raggiungere i due miliardi nel 2030 e i tre miliardi nel 2050.
La pressione dell’overtourism quindi sembra destinata ad aumentare, con un impatto enorme sulle città e sull’ambiente: un turista mordi-e-fuggi consuma da tre a quattro volte più acqua e produce il doppio dei rifiuti solidi urbani rispetto a un residente; cinque voli tra New York e Los Angeles producono a persona più CO2 di un’auto in un anno. Sarà anche il patrimonio storico-artistico e paesaggistico a soffrire: il 50% dei siti UNESCO sembrano messi a rischio dall’eccesso di turismo.
Quale futuro preferibile allora per il viaggio e per il turismo? Per noi ci sono quattro innovazioni possibili, quattro movimenti che potrebbero far cambiare rotta alla nostra idea di movimento nel tempo libero.
Tecnologia. Innovazioni tecnologiche come quelle legate al metaverso, alla realtà aumentata e alle esperienze immersive potrebbero sostituire l’esperienza fisica del viaggio. Nella nostra primissima newsletter parlavamo di come per i pionieri di Internet non esista differenza tra ciò che avviene online e offline. In entrambi i casi si tratta di esperienze “reali”, che come tali hanno il potere di influenzare e trasformare le nostre vite. In futuro questa consapevolezza potrebbe interessare tutti noi; i nostri figli potranno facilmente scegliere di sostituire il turismo mordi e fuggi con esperienze virtuali, che potrebbero addirittura avere un più accentuato sapore di autenticità e genuinità…
È come quando vediamo un video fatto con il cellulare e postato su TikTok: ci sembra più autentico, più reale di un video girato professionalmente, curato e post-prodotto, che fa l’effetto noioso e stereotipato delle immagini di stock. In futuro le città gentrificate e standardizzate potranno sembrarci immagini stock (vedi sopra: la spasmodica ricerca dell’esperienza turistica autentica rende sempre più inautentici i luoghi, cristallizzati in una visione idealizzata che li priva di ogni speranza di cambiamento), mentre ricercheremo altrove, anche online, l’autenticità che oggi associamo ai video di TikTok.De-crescita e turismo lento. In futuro potremo privilegiare mete vicine, raggiungibili a piedi o in bicicletta, limitando i viaggi mordi-e-fuggi verso mete che richiedono spostamenti in aereo o comunque ad alto impatto ambientale. Spesso viaggiamo per il solo fatto che possiamo viaggiare, i voli low-cost ci hanno abituato a cambiare setting con la facilità con cui cambiamo lo sfondo del desktop. Riscoprire invece la materialità e la fisicità dello spostamento potrebbe ridare senso e spessore alla nostra idea del viaggio.
Regolamentazione. In futuro le città scriveranno le proprie regole privilegiando i residenti rispetto ai turisti, secondo meccanismi virtuosi che ci aiutino a ripensare il modo in cui produciamo, consumiamo e ci spostiamo. La città di Amsterdam dopo il Covid ha iniziato un percorso di ridefinizione delle proprie policy secondo quest’ottica, includendo anche gli aspetti riguardanti il turismo, che vengono affrontati tenendo in considerazioni i principi della Doughnut Economy e dell’economia circolare.
Turismo rigenerativo. La rigenerazione è un concetto su cui ci siamo soffermati già altre volte, e può riguardare anche il turismo. Il turismo rigenerativo è un passo oltre il turismo sostenibile, e si basa su tre pilastri fondamentali: ripristinare gli ambienti, arricchire le comunità locali e migliorare il benessere fisico e mentale di chi viaggia attraverso esperienze autentiche. Se il turismo sostenibile ha come scopo quello di limitare gli impatti sulle comunità locali, quello rigenerativo aspira a supportarle, migliorarle e farle crescere. Intraprendere un viaggio rigenerativo e scegliere di evitare l’iperturismo significa, per esempio, assicurarsi di soggiornare in luoghi gestiti dalle comunità locali, che trattano le persone in modo equo, acquistare prodotti locali di cui si conosce la filiera, spostarsi in modo consapevole e in linea con le abitudini e le esigenze die luoghi. Gli esempi possono essere tanti, dal villaggio-resort gestito dalla comunità, alla startup che redistribuisce i profitti del turismo trasformandoli in micro-prestiti, all’agenzia del turismo delle Fiandre che fa incontrare i turisti con persone locali appassionate di storia, cibo o paesaggio.
Lo scrittore e umorista Ennio Flaiano diceva che quando due italiani si incontrano in vacanza trasformano anche i luoghi più remoti e selvaggi nell’anticamera di un ufficio ministeriale: “anche lei qua geometra!”, “buona passeggiata ingegnere!”.
Ripensare il nostro modo di viaggiare, in effetti, significa anche ripensare i nostri modi, tempi e luoghi di lavoro. In fondo, si tratta in entrambi i casi di ridurre la distanza tra ciò che facciamo e le nostre preferenze, le nostre aspirazioni, i nostri desideri. Rendere sia il viaggio sia il lavoro meno simile a una parentesi, e più simile alla nostra vita.