Quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando
Perché dovremo trovare nuovi modi di lavorare insieme
In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Andiamo?
Noi siamo qui
La nostra amica e collega Noemi ha lavorato per un periodo un po’ più lungo del solito da remoto, e al suo ritorno ci ha confessato di essersi interrogata molto sulle nuove forme di lavoro flessibile, anche per via di un senso di insoddisfazione che non riusciva a spiegarsi: un mese a lavorare in piena autonomia da un posto fighissimo, e tornare con la sensazione che manchi qualcosa. Come mai?
Noemi ha accompagnato i suoi pensieri con una citazione di Malcolm Gladwell, che in una puntata del podcast Diary of a CEO ha detto: “So che andare in ufficio è diventata quasi una seccatura, ma lavorare in pigiama dalla camera da letto è davvero il modo in cui vogliamo vivere la nostra giornata lavorativa?”.
Per Gladwell il lavoro ibrido è una forma di “innovazione per necessità”, e un bug che si è trasformato in un’opportunità: impossibile farne a meno, ma proprio per questo è ancora più importante rifletterci sopra e provare a organizzarlo in modo significativo, anziché limitarsi a “subirlo”. Intorno a questa necessità abbiamo ragionato insieme a Noemi, e il Futuro di oggi è il frutto di queste riflessioni.
Il lavoro, lo sappiamo tutti, è cambiato irreversibilmente. Le nuove forme di lavoro smart, remoto, ibrido, flessibile sono esplose non solo perché rispondevano bene all’emergenza pandemica, ma perché hanno incontrato un bisogno profondo delle persone. L’ufficio improvvisamente è sembrato uno spazio antiquato, incapace di accogliere le esigenze di chi lavora, come dimostra anche il crollo del valore commerciale degli immobili a uso lavorativo.
Tutti noi abbiamo partecipato attivamente a questo movimento: sia come individui che hanno cambiato il loro modo di lavorare, sia come organizzazioni (I MILLE adotta da tre anni una politica di full smart-working), sia come promotori di nuove iniziative: Cosmico, l’azienda di cui Matteo è co-founder, nasce con la missione di cambiare radicalmente il rapporto tra talenti e imprese, e di liberare il lavoro dalle sue forme tradizionali di organizzazione.
Lavoro da casa, lavoro da dove voglio, lavoro dai luoghi delle vacanze, lavoro in piena autonomia: pensavamo di essere di fronte a una svolta epocale, di aver trovato un nuovo modello che avrebbe migliorato la nostra esistenza e supportato la nostra salute mentale e fisica. Ma è davvero così?
Abbiamo analizzato molti dei benefici che questa trasformazione ha portato alle persone e anche alle organizzazioni, ma forse abbiamo riflettuto meno sull’impatto che il lavoro da remoto ha avuto sulle dinamiche sociali e relazionali. Quel senso di insoddisfazione di cui ci ha parlato Noemi: un allontanamento progressivo dai luoghi, fisici ma soprattutto mentali, dove si sta bene insieme e quindi si lavora bene insieme.
Flashback
Fino a pochi anni fa lo scenario lavorativo in cui siamo immersi sarebbe stato semplicemente inconcepibile. Esisteva soltanto un modo di lavorare: in fabbrica, in ufficio, in negozio.
Il lavoro, prima di essere un’attività, era un posto.
Il management dell’età industriale aveva bisogno di concentrare le persone tutte in uno stesso luogo, per poter organizzare la loro produttività, e per poterla controllare e misurare. Così sono nati gli spazi del lavoro che conosciamo: le grandi fabbriche e i grandi edifici pieni di uffici.
Nel suo ultimo libro, The Song of Significance, Seth Godin descrive proprio il passaggio dal modello di organizzazione industriale del lavoro a quello che lui chiama il lavoro significativo. Da un lato ci sono le gerarchie, il controllo, l’esasperazione della performance, le misurazioni fatte con il cronometro alla mano. Dall’altro ci sono la collaborazione, la responsabilità, la fiducia, le alleanze che si creano intorno a un progetto e a uno scopo condiviso.
L’idea del lavoro significativo, del lavoro libero e flessibile in cui le persone sono coinvolte e messe a parte delle decisioni, e per questo si impegnano e mettono a disposizione delle organizzazioni il loro talento e la loro passione, ci dice qualcosa anche su come dovrebbe essere il lavoro da remoto.
Perché in molti si stanno accorgendo che il lavoro da remoto, se non accompagnato da una riflessione costante sul significato di quello che si fa, rischia di trasformarsi in una routine ancora più “produttivista” del lavoro del secolo scorso. Tutto schiacciato sull’esecuzione, senza lasciare spazio al pensiero.
Era proprio il dubbio da cui è partita Noemi: il succedersi di call e meeting ci confina dentro un labirinto di scadenze e contingenze che finiscono col limitare la nostra creatività. Ci ritroviamo dentro giorni sempre uguali a saltare da una riunione all'altra, assediati dalle notifiche e dalle mail che leggiamo e “smarchiamo” mentre tentiamo di non affogare.
In questo regime della produttività a distanza si comprime però lo spazio per tutte quelle attività che richiedono concentrazione, pensiero laterale, immersione nel momento e anche condivisione e vicinanza con i collaboratori.
Si comprime, in sostanza, il tempo che riusciamo a dedicare al pensiero strategico e al pensiero creativo: ovvero alle componenti fondamentali non solo del nostro lavoro, ma del lavoro in generale.
Questo accade perché la strategia e la creatività non sono un task, non sono un compito da svolgere: sono esattamente ciò che accade quando riusciamo ad alzare la testa dai task e dai sotto-task dei progetti. Sono il momento dell’immaginazione: l’invisibile tessuto connettivo che dà forma e contesto ai task.
Strategia e creatività sono tutto ciò che accade quando non stiamo propriamente lavorando, quando non stiamo svolgendo un compito.
La strategia è, come la cultura, una sorta di liquido lubrificante che scorre tra i task, li mette in relazione e li rende significativi. E quindi deve necessariamente essere generata al di fuori del framework che regola l’esecuzione.
Con il lavoro da remoto, però, rischiamo di restare ingabbiati dentro il ciclo infinito delle riunioni e delle comunicazioni che hanno come unico obiettivo quello di risolvere dei task. E il tempo in cui non facciamo niente di specifico, e quindi lasciamo spazio al formarsi di strategia e creatività, si assottiglia fino quasi ad annullarsi.
Fast Forward
Naturalmente tornare indietro, ricreare l’ambiente dell’ufficio, restaurare le formule fisse e gli schemi rigidi di presenza non è una soluzione.
La soluzione, il futuro preferibile del lavoro, dovrebbe prevedere sistemi intelligenti in grado di favorire lo scambio di stimoli, il confronto, la riconnessione delle persone e un impiego qualitativo del tempo.
Il luogo di lavoro del futuro dovrebbe rispondere a un nuovo bisogno di collaborazione ravvicinata e di prossimità, che nasce proprio dalla consapevolezza che alcune cose non possono essere fatte mentre ognuno è chiuso nella propria privata catena di montaggio dei task. Soprattutto le cose invisibili, il lavoro più difficile da toccare e misurare, il lavoro che va oltre i task e la produttività.
La mamma di Noemi, che è insegnante alle medie, racconta spesso di quando ha portato i suoi alunni a fare lezione al parco: a distanza di anni gli alunni di quella classe si ricordano ancora di quella giornata, e delle cose che hanno imparato grazie a quel contesto eccezionale.
Il luogo di lavoro del futuro dovrebbe somigliare alle lezioni al parco. Dovrebbe riuscire a ricreare una simile eccezionalità, lo stesso senso di scarto dalla norma e di esperienza aumentata. Un’esperienza simile quella che ci ha raccontato Luca Sartoni durante l’ultimo Cosmico Club che si è svolto a Taormina.
Luca ha lavorato per quasi 9 anni in Automattic, l’azienda che sviluppa e mantiene Wordpress, e che da anni viene citata come esempio di grande azienda capace di lavorare in full remote. Luca ha spiegato come funziona il lavoro in Automattic e ha insistito su tre punti fondamentali per lavorare bene anche quando siamo fisicamente lontani:
Il lavoro deve essere aperto: tutti i documenti dell’azienda devono essere condivisi, così i team possono collaborare ed è più facile l’onboarding di nuove persone su un progetto.
Il lavoro deve essere pubblico: le comunicazioni devono essere scritte e sempre accessibili a tutti. Bisogna evitare i messaggi privati, piuttosto si devono fare domande e condividere i vari step di un progetto in spazi pubblici, così che tutti possano rispondere, e che quelle domande risolte diventino knowledge base per i nuovi collaboratori.
Il lavoro deve poter essere asincrono. Se si lavora in modo aperto e pubblico, allora si abilita l’asincronia che è il vero traguardo del lavoro “smart”. Oggi quello che comunemente chiamiamo smart-working è di fatto lavorare da luoghi diversi dall’ufficio. Ma ai dipendenti viene ancora richiesta la reperibilità per le tipiche otto ore di lavoro, durante le quali si susseguono innumerevoli call. In sostanza stiamo lavorando esattamente come prima, solo abbiamo sostituito l’ufficio con la casa e la riunione in presenza con la call. Insomma, ci siamo concentrati troppo sul dove e poco sul perché e sul come. Il lavoro è davvero smart quando si può decidere non solo da dove lavorare, ma quando lavorare.
Poi, una settimana all’anno, le persone di Automattic si ritrovano nello stesso luogo. Per conoscerci, lavorare insieme, parlare, connettersi e condividere riflessioni strategiche e visione di lungo periodo.
Dunque, nel nostro futuro preferibile dovremo creare dei processi che permettono di svolgere i task in modo aperto, pubblico, e quindi soprattutto asincrono. A questa parte del lavoro associamo liberamente forme di lavoro flessibile e remoto.
Poi però immaginiamo un ufficio del futuro in cui ritrovarsi periodicamente: un giorno a settimana, tre giorni ogni trimestre, una settimana all’anno, a seconda delle esigenze delle organizzazioni. In questo spazio svolgeremo tutto il lavoro che non è task, ci ritroveremo nei momenti in cui dovremo affrontare questioni creative e soprattutto strategiche, in un contesto che aiuti chi lavora insieme a conoscersi meglio.
L’ufficio del futuro sarà un luogo distante tanto dalla casa delle persone, dal loro spazio privato, quanto dall’ufficio classico: uno spazio in cui le persone si ritrovano e stanno insieme quando hanno bisogno di concentrarsi su un tipo di lavoro che richiede distanza dalla routine.
Sarà una sorta di palestra progettata per fare solo un certo tipo di esercizi, e impedire alle persone di rinchiudersi nel rabbit hole delle call: un luogo di non working in cui le persone possano coltivare la qualità delle proprie relazioni, il proprio affiatamento. Perché spesso è da quell’affiatamento, dall’attitudine a pensare insieme, che nascono strategia e creatività.
La qualità delle relazioni non è soltanto un elemento di benessere individuale: è una dinamica che aumenta la qualità del lavoro, e quindi porta beneficio all’organizzazione.
Una celebre citazione attribuita allo scrittore Joseph Conrad dice più o meno: non è facile spiegare alla gente che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando. Ecco, il lavoro del futuro dipenderà dalla nostra capacità di riuscire a spiegare a leader e manager che quando non stiamo guardando dentro lo schermo, stiamo lavorando.