In questa newsletter raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo
Noi siamo qui
Di solito di fronte alle difficoltà ci diciamo: non mollare, tieni duro.
Ma ci sono casi in cui serve più forza per lasciare che per restare. Come dimostra la vicenda di Joe Biden che si sta compiendo in queste ore.
In realtà avevamo iniziato a pensare a questa newsletter prima che Biden annunciasse il ritiro, cioè dopo aver visto il docufilm dedicato agli ultimi 12 giorni da tennista di Roger Federer, in cui si racconta quanto è difficile andarsene, soprattutto dopo essere stati per tanti anni ai massimi livelli.
“Si dice che uno sportivo muore due volte: la prima è quando si ritira.”
A un certo punto nel docufilm viene pronunciata questa frase. Ma è una frase che non vale solo per gli sportivi: vale per tutti coloro che hanno dedicato sé stessi a un’attività.
E quindi si può facilmente applicare anche al business.
Flashback
C’è un momento giusto per vendere la tua azienda? Quando dovresti lasciare ad altri il tuo ruolo apicale?
C’è un momento “Joe Biden”, o un momento “Roger Federer”, anche nella gestione delle aziende. Persone che sono al vertice delle loro organizzazioni e periodicamente si trovano o vengono messi di fronte alla domanda: “è arrivato il momento di farsi da parte?”.
Se nello sport esistono spesso limiti fisici al prolungamento della carriera, nel business non è così. E quindi molti leader, circondati da un’aura di indispensabilità, si convincono di essere insostituibili e sono riluttanti a lasciare le loro posizioni.
La celebrata serie tv Succession è costruita tutta intorno a questo tema: un potente tycoon incapace di lasciare il suo impero industriale, convinto che nessuno - tantomeno uno dei quattro figli - sarà in grado di prendere il suo posto. E se questa storia ha suscitato così tanto interesse, probabilmente è perché ha saputo rappresentare un problema molto riconoscibile per il pubblico americano, e più in generale occidentale.
La trama della fiction del resto somiglia a molte delle storie di CEO “longevi” che hanno ritardato la loro uscita più del dovuto. Secondo alcuni studi la durata ideale di una carica apicale dovrebbe essere di 4,8 anni. Le storie di permanenze molto più lunghe sono tantissime.
Potere, denaro, privilegi, e una ricorrente incapacità di vedere oltre sé stessi: sono questi gli elementi che trattengono i boss. Intorno ai leader si creano spesso sistemi di accondiscendenza che impediscono loro di vedere i propri limiti, e portano a preferire l’inerzia della continuità al rischio del cambiamento. Un sistema sintetizzato bene da Toby Cosgrove, amministratore delegato di Cleveland Clinic:
“Quando sono stato nominato CEO sono diventato più bello, e le mie battute sono diventate più divertenti”.
In Italia, dove l’imprenditoria ha spesso una forte impronta familiare, conosciamo bene queste dinamiche: capi-famiglia che non riescono a gestire la transizione, famiglie che faticano a separarsi dalle proprie aziende, addirittura aziende quotate che vengono delistate e ritornano nel pieno controllo delle famiglie dei fondatori, come nel caso di Benetton.
Luciano Benetton aveva lasciato l’azienda nel 2013, con l’idea che la famiglia avrebbe fatto “un passo indietro, per lasciare più potere ai manager”. Salvo poi tornare nel 2018, a 83 anni, richiamato dalla necessità di rimettere i conti in ordine. Qualche mese fa ha dato definitivamente l’addio all’azienda, lasciando dietro di sé un buco da 100 milioni, di cui naturalmente ha addossato la responsabilità ai manager.
La sera in cui Steve Ballmer ha lasciato la guida di Microsoft è andato a cena con il suo migliore amico e sua moglie in un raffinato ristorante di Seattle. Durante la serata, si è commosso pensando a come sarebbe stata la sua vita senza essere al timone di un’azienda da 300 miliardi di dollari e senza l’indirizzo email SteveB@Microsoft.com. Gli risultava difficile immaginare un futuro in cui migliaia di persone non avrebbero più aspettato ogni sua decisione, in cui il software dell’azienda avrebbe continuato a funzionare senza di lui al comando.
Il motivo per cui un leader fa così fatica a lasciare è perché è intrappolato nel suo passato.
Se ci pensate, l’immagine che usiamo più spesso per parlare del nostro passato è quella del bagaglio. Ma questa immagine evoca immediatamente un peso, qualcosa da trascinare con fatica, che ci impedisce di muoverci liberamente. Sarebbe molto più efficace pensare al passato usando un’immagine cinematografica, quella del prequel: cioè l’insieme delle cose che spiegano e orientano le nostre scelte presenti e future.
Una volta un amico ha salutato la fine di un’avventura imprenditoriale condivisa con Matteo con questa frase: “la fine è la fine solo se guardi indietro”. Altrimenti ciò che tutti chiamano fine è solo un nuovo inizio: un modo per riprendere il controllo sul nostro futuro e chiederci come e dove possiamo dare il nostro contributo, in un modo diverso.
Fast forward
Ma torniamo dove siamo partiti, allo sport.
Avete visto lo spot di Nike per le Olimpiadi?
Sulle immagini dei grandi campioni di oggi e del passato, la voce di William Dafoe recita:
Sono una brutta persona?
Forza, dimmelo. Allora?
Sono una persona ossessiva, egoista.
Non provo empatia, non ti rispetto.
Non mi accontento mai.
Il potere mi ossessiona.
Penso di essere migliore degli altri.
Mi prendo ciò che è tuo.
Il mio rimane mio, e il tuo diventa mio.
Questo fa di me una brutta persona?
Forza, dimmelo. Lo sono davvero?
Agli appassionati di ciclismo saranno venute in mente le immagini di Pogacar che annienta i suoi avversari al Tour de France, tanto da guadagnarsi il soprannome che prima d’ora era stato dato solo a Eddy Merckx: il Cannibale, quello che distrugge e divora i suoi simili.
Solo così però, non rallentando nemmeno quando la vittoria è garantita, si onora davvero il proprio talento, che è un privilegio simile a quello di chi ricopre ruoli dirigenziali. Chi sta al vertice ha la responsabilità di comportarsi da “cannibale” non per avidità o gloria personale, ma per il bene della propria organizzazione, e perfino per il bene della collettività.
La vetta non è un posto dove potersi rilassare: nel momento in cui iniziamo a farlo sprechiamo il nostro tempo e, peggio ancora, togliamo opportunità ad altri che hanno più entusiasmo ed energie da spendere. Chi ha il privilegio di essere lì, di ricoprire certe posizioni, non può permettersi di non continuare a provarci, di non avere fame, di non essere nelle condizioni di dare il meglio si sé.
I campioni sportivi lo sanno bene: basta un attimo di distrazione per vedersi superati. E coloro che stanno ai vertici delle imprese dovrebbero comportarsi come se fosse così anche per loro: come se la loro posizione non fosse mai garantita, come se la certezza della poltrona fosse da conquistare ogni giorno. Il loro impegno quotidiano è un omaggio alle generazioni di nuovi imprenditori e imprenditrici brillanti e affamati che aspettano solo il momento giusto per prendere il loro posto.
Spesso non è così, lo sappiamo, e chi è al vertice non vive la pressione degli sportivi: ma il suo compito sarebbe agire come se quella pressione ci fosse, come se la vetta fosse continuamente da raggiungere.
Non è una questione, come provocatoriamente chiede lo spot di Nike, di essere belle o brutte persone. Semplicemente stare in vetta richiede sempre il massimo: provarci sempre, non arrendersi, avere la mentalità ossessiva di migliorare costantemente.
Se si perde questa fame, meglio lasciare.
Come scrive Seth Godin in uno dei suoi ultimi post, c’è differenza tra arrendersi e lasciare: lasciare apre a nuove inizi, mentre rimanere in una posizione mettendo meno cura nel lavoro, meno impegno, meno attenzione ai dettagli… è una perdita di tempo, per sé e per chi si ha intorno.
Forse le sequenze più commoventi del docufilm su Federer sono quelle in cui il campione sente su di sé lo sguardo preoccupato dei genitori e della compagna, che lo vedono sbagliare, perdere e non essere più all’altezza del suo talento. È in quello sguardo che Federer legge la necessità di ritirarsi: quando non si riesce più a dare agli altri la gioia, la bellezza, l’adrenalina e l’ispirazione che siamo stati in grado di dare, allora è arrivato il momento.
E lasciare diventa un'ultima dimostrazione della nostra forza.
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“la fine è la fine solo se guardi indietro”
Love