In questa newsletter raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
La scorsa settimana Matteo è stato a Slush, la conferenza tech che dal 2008 si tiene a Helsinki e mette insieme oltre 13000 founders e investitori da 90 paesi diversi.
Lo ha invitato A2A (grazie 🙏), che a Slush ha portato il team innovation, con un bellissimo stand dove si sono alternati diversi panel a tema innovazione, corporate venture capital e climate tech. Matteo ha partecipato a uno di questi panel, insieme a Valeria, Fathia e Simone.
Il tema al centro della riflessione: “AI needs design”.
Le tecnologie non cambiano il mondo da sole. Servono idee, persone e contesti che le trasformino in qualcosa di utile. L’intelligenza artificiale generativa è uno strumento potentissimo, ma oggi non sta ancora esprimendo tutto il suo potenziale.
Non è ancora arrivata la killer application che sblocca l’adozione generalizzata, gli investitori non vedono i ritorni sperati, e in molti si chiedono se la scalabilità dei modelli non abbia già raggiunto un limite massimo. L’impressione però è che questo stallo percepito sia meno un problema di tecnologia, e più una questione di design.
Il design infatti non determina solo “come appare” una tecnologia, ma “come funziona” e soprattutto “che cosa rende possibile”, quali nuovi futuri può farci scoprire.
Ogni grande innovazione tecnologica ha avuto un momento simile. I personal computer, Internet, gli smartphone: tutte le innovazioni decisive degli ultimi decenni hanno avuto bisogno del design per sbloccare il loro valore reale.
Flashback
All’inizio degli anni ’80 i PC erano strumenti incredibilmente avanzati, ma quasi inutilizzabili per chi non fosse un tecnico. La maggior parte delle persone non capiva come usarli, né vedeva un motivo per farlo.
Steve Jobs — un designer di fatto, anche se non aveva avuto l’educazione tipica del design, ma aveva speso tutta la sua vita a cercare di coniugare tecnologia, creatività e arte — ha intuito il problema: il PC non aveva bisogno di più potenza, ma di un nuovo modo di interagire con l’utente. Con Apple ha introdotto il Macintosh e l’interfaccia grafica, trasformando una macchina tecnica in uno strumento semplice e intuitivo.
Jobs descriveva il computer come una “bicicletta per la mente”: un oggetto capace di amplificare le capacità umane. Grazie al design, il PC è diventato proprio questo. L’interfaccia grafica ha permesso a milioni di persone di usare il computer per creare, lavorare, innovare. È stata una trasformazione totale: da un prodotto di nicchia a uno strumento universale.
Internet nei primi anni ’90: i siti web erano poco più che giornali digitali. È stato il design del cloud computing e del Software as a Service (SaaS) a trasformare Internet in quello che conosciamo oggi: una piattaforma scalabile e semplice, la rete che “ha mangiato il mondo” trasformando ogni industry, dal retail alla logistica, dalla finanza alla sanità.
Prima dell’iPhone i telefoni “smart” erano difficili da usare, pensati per fare poche cose specifiche. Steve Jobs ha preso una tecnologia esistente e l’ha trasformata in qualcosa di completamente diverso. L’interfaccia touch, l’ecosistema delle app e la semplicità d’uso hanno reso lo smartphone un un nuovo modo di concepire la tecnologia mobile e la connettività.
Il design ha fatto in modo che tutta la complessità fosse sotto la superficie, mentre in superficie rimaneva solo l’esperienza più fluida e intuitiva che la tecnologia avesse mai offerto all’umanità.
Grazie a questa intuizione l’iPhone, e poi più in generale lo smartphone, non è più solo un telefono con un buon design. Diventa uno strumento centrale nella vita delle persone, indispensabile per lavorare, connettersi, creare. E ha segnato come pochi altri fenomeni gli ultimi 15 anni della nostra vita.
Non per caso abbiamo scelto due esempi su tre che riguardano Apple. Un’azienda che ha investito molto più di altre nel design ed è diventata l’azienda più capitalizzata degli ultimi 15 anni.
Fast forward
L’AI è in un momento simile a quello dei primi PC, dei primi siti web o dei primi smartphone. Per questo ha bisogno di design: ha bisogno che qualcuno arrivi a tradurre le sue enormi potenzialità in un’esperienza d’uso chiara, accessibile e trasformativa.
Il problema è che nel caso dell’AI la progettazione delle strutture di base è già saldamente in mano a poche aziende che si sono ricavate una posizione dominante: Microsoft, Google, Amazon. La maggior parte di noi non sarà chiamata a correggere e migliorare il modo in cui l’AI funziona, né ciò che rende possibile.
A noi però resta un compito non meno importante: dovremo riprogettare noi stessi, il modo in cui viviamo e lavoriamo. Dovremo imparare a muoverci in un mondo in cui l’AI sarà ovunque. E quindi progettare nuovi gesti, nuove idee, nuove esperienze per riuscire a potenziare tutto ciò che facciamo.
Del resto questo è ciò che è successo anche con le precedenti tecnologie: poche persone hanno progettato la rete elettrica o la rete internet, agli altri è toccato adattare i propri comportamenti in un mondo in cui elettricità e internet diventano onnipresenti.
Usare l’elettricità è un vantaggio competitivo solo nei confronti di chi continua a usare le candele. E non dura a lungo.
Piuttosto il vantaggio competitivo lo ottiene chi - mentre tutti adottano l’elettricità per illuminare stanze in cui fanno le stesse cose di prima - riesce a inventare per primo nuovi modi di lavorare, e nuovi strumenti da attivare attraverso l’elettricità. E questo è proprio ciò che sta accadendo con l’AI.
Con l’intelligenza artificiale stiamo entrando in un’era in cui il design diventa la competenza che separa chi subisce le tecnologie da chi le sfrutta. Non siamo più semplici utenti che si adattano agli strumenti esistenti, ma possiamo diventare chooser: co-progettisti che collaborano con l’AI per modellare strumenti su misura per i nostri bisogni specifici.
In questo passaggio l’AI non è solo un mezzo per automatizzare, ma un partner creativo che rende malleabile ciò che prima era rigido. La possibilità di progettare in tempo reale, di adattare i tool alle sfide uniche di ogni individuo o organizzazione, ridefinisce il nostro rapporto con il lavoro e con la tecnologia.
La domanda centrale dell’innovazione non è più “che strumento posso usare?”. Ma “che strumento posso creare?”.
E quando si tratta di creare strumenti nuovi, la guida resta sempre il design, ovvero l’arte di indicare alle tecnologie quale può essere il loro futuro preferibile.
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"A noi però resta un compito non meno importante: dovremo riprogettare noi stessi, il modo in cui viviamo e lavoriamo. Dovremo imparare a muoverci in un mondo in cui l’AI sarà ovunque. E quindi progettare nuovi gesti, nuove idee, nuove esperienze per riuscire a potenziare tutto ciò che facciamo."
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Mentre leggevo questo pezzo sull'AI ho pensato "sta parlando dell'AI o della HI ovvero della nostra intelligenza?!?". Dobbiamo imparare a riprogettarre noi stessi e per farlo dobbiamo conoscere come funzioniamo, il nostro linguaggio di programmazione. Per muoverci in un mondo dove l'intelligenza umana sarà abilitata e usata ovunque. Se ci pensi l'intelligenza altro non è che la capacità di connettere scibili diversi. Per usare il nostro potenziale, più che per potenziarci, non ci resta che imparare a conoscere come funzioniamo, comprendere il nostro agire con occhi diversi e più competenti e progettare, in modo sostenibile, nuovi gesti e nuove idee, riprendendo quanto da te scritto.
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"il design diventa la competenza che separa chi subisce le tecnologie da chi le sfrutta. Non siamo più semplici utenti che si adattano agli strumenti esistenti, ma possiamo diventare chooser: co-progettisti che collaborano con l’AI per modellare strumenti su misura per i nostri bisogni specifici.
In questo passaggio l’AI non è solo un mezzo per automatizzare, ma un partner creativo che rende malleabile ciò che prima era rigido. La possibilità di progettare in tempo reale, di adattare i tool alle sfide uniche di ogni individuo o organizzazione, ridefinisce il nostro rapporto con il lavoro e con la tecnologia."
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ed ora gioco e cambio solo qualche parola sostituendo AI con HI
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"il design diventa la competenza che separa chi subisce le tecniche da chi le sfrutta. Non siamo più semplici utenti che si adattano ai comportamenti esistenti, ma possiamo diventare chooser: co-progettisti che collaborano con l'HI per modellare comportamenti su misura per i nostri bisogni specifici.
In questo passaggio l'HI non è solo un mezzo per automatizzare, ma un partner creativo che rende malleabile ciò che prima era rigido (fixed mindset). La possibilità di progettare in tempo reale, di adattare i comportamenti e le abilità alle sfide uniche di ogni individuo o organizzazione, ridefinisce il nostro rapporto con il lavoro e con la tecnica."