C’è una novità!
Lo scorso venerdì è uscito il primo numero di Work After, la newsletter solista di Matteo, nata da una domanda che gli sta molto a cuore: come sarà il lavoro dopo? Dopo i modelli tradizionali, dopo il 9 to 5, dopo l’ufficio, dopo l’automazione, dopo il remote working, dopo i meeting, dopo le pause caffè, dopo il lavoro stesso?
Su Futuri Preferibili abbiamo scritto spesso di questi temi: da oggi tutto ciò che riguarda il futuro del lavoro e delle organizzazioni si sposta su Work After. Iscrivetevi per continuare a seguire le riflessioni di Matteo, osservare insieme a lui le forze che stanno trasformando il mondo del lavoro, interpretarle e ricavare consigli pratici per preparare i professionisti al lavoro di domani e progettare organizzazioni più flessibili e resilienti.
Qui, invece, continuiamo a parlare di futuro, o meglio: della relazione che esiste tra le varie dimensioni del tempo, passato, presente e futuro. E di come interagiscono continuamente tra di loro nel costruire le nostre identità individuali e collettive.
Noi siamo qui
Il titolo di questa newsletter deriva dal cono dei futuri, uno strumento di studio e analisi che, a partire dal presente, proietta nel futuro alcuni scenari classificandoli a seconda della possibilità che hanno di realizzarsi. Ci sono i futuri probabili, i futuri possibili, i futuri improbabili, i futuri assurdi, e i futuri preferibili o desiderabili, quelli che vorremmo vedere realizzati e per cui intendiamo impegnarci e lavorare. A seconda della loro realizzabilità, i futuri si dispongono più o meno lontano dalla linea del presente: da qui la visualizzazione a cono.
Lo strumento è suggestivo e in molti casi utile, ma non manca chi lo ha criticato perché promuove una visione troppo lineare e schematica dello sviluppo storico.
Ricavare il futuro da un aspetto del presente restringe troppo il campo, è un ragionamento meccanico, e soprattutto mette in ombra il passato, lo riduce a una semplice premessa del presente, nega la sua ricchezza di storie e possibilità inesplorate.
Ormai siamo tutti d’accordo che non esiste un solo futuro: esistono tanti futuri quante sono le nostre possibilità di agire, e quale dei futuri si realizzerà dipende dalle nostre scelte e dai nostri comportamenti.
Più difficile invece affermare che non esiste un solo passato: il passato può essere tante cose diverse, esistono tanti diversi passati a seconda di come li interpretiamo e delle cose che mettiamo in evidenza, di ciò che decidiamo di considerare e di raccontare.
E, cosa ancora più importante, il futuro che scegliamo di realizzare e il passato che scegliamo di raccontare sono strettamente connessi, servono l’uno a rafforzare e a rendere possibile l’altro.
Flashback
Nel 1836 Luois-Napoléon Geoffoy-Chateau, figlio di un ufficiale dell’esercito napoleonico, pubblica uno strano libro intitolato Napoleone apocrifo. Storia della conquista del mondo e della monarchia universale.
In questo libro si racconta una storia diversa da quella che abbiamo studiato a scuola. Una storia in cui Napoleone non ha perso a Waterloo e non è morto in esilio a Sant’Elena, ma ha continuato a vincere e a conquistare terra dopo terra fino a instaurare una monarchia universale e a stabilire il dominio sul mondo intero.
La storia è citata in un libro da poco tradotto in italiano dello scrittore francese Emmanuel Carrère, Ucronie. Questa parola apparentemente difficile, “ucronia”, indica un genere letterario-filosofico in cui chi scrive inventa un presente alternativo, immaginando che qualche importante evento del passato sia andato diversamente da come è andato in realtà.
Scrivere ucronie significa quindi riscrivere il passato.
Come sarebbe il mondo oggi se Napoleone non fosse stato sconfitto? Se Hitler avesse vinto la guerra? Se non fosse stato inventato il computer?
L’ucronia è diversa dalla sua parente più famosa, l’utopia. Costruire un’utopia significa immaginare una realtà ideale e perfetta, che esiste in luogo e in un tempo imprecisati, completamente slegata dal mondo reale. L’ucronia invece immagina un passato diverso da quello che conosciamo, corregge la realtà, modifica gli eventi fino a reinventare il presente e a preparare un futuro coerente con il nuovo passato.
L’ucronia sembra un esercizio astruso e inutile, ma in realtà ci aiuta a ricordare che nel passato non c’è soltanto la storia ufficiale. Ci sono tante storie diverse, le memorie che non ci sono state tramandate, le vite di chi non ha lasciato traccia, le idee che non hanno trovato sviluppo. E ci sono anche interpretazioni alternative del passato che ricordiamo e conosciamo, ma che abbiamo visto sempre sotto un’unica luce.
Fast forward
Il cono dei futuri, allora, andrebbe ridisegnato. C’è chi ci ha provato, ricavando una figura molto più flessibile e aperta.
In questo schema non esistono un solo passato e un solo presente, che danno vita a un ventaglio di possibilità future. In questo schema esistono passati diversi che si possono scegliere, proprio come possiamo scegliere quale futuro provare a costruire.
Esistono, insomma, dei passati preferibili.
Ma a che serve studiare e raccontare i passati preferibili?
Serve a mettere in discussione il presente, a considerare possibilità inesplorate, e a dare solidità alla costruzione del futuro. Trovare nel passato i germi di ciò che poteva essere, le domande, gli spunti, le inquietudini, le possibilità che non abbiamo considerato abbastanza.
Un esercizio del genere può essere utile tanto per gli individui quanto per le organizzazioni, che dicono sempre di essere proiettate verso il futuro, ma che spesso falliscono nell’innovare perché non hanno chiarito bene il rapporto tra il futuro che immaginano, il loro presente e il loro passato.
Esistono due modi principali in cui provare a riscrivere il passato.
Ritrovare il passato rimosso
Interrogare il passato significa capire quali sono le dinamiche che hanno fatto emergere le narrazioni dominanti, la storia così come la conosciamo, il si è sempre fatto così. E quali sono invece i passati rimasti nascosti o non raccontati, che potrebbero fornirci una base per immaginare un presente e un futuro diverso per la nostra vita.
A volte è utile ricordarsi di quella passione che avevamo da piccoli, e che poi abbiamo del tutto accantonato. O del perché abbiamo cominciato un certo percorso di studi, per poi spesso trovarci a fare tutt’altro. E spesso c’è più di una storia di passioni abbandonate e percorsi interrotti anche all’interno delle aziende. E se valesse la pena riconsiderarle?Connettere i puntini
Possiamo imparare a ri-raccontare il passato in base alla visione del presente e del futuro che abbiamo sviluppato, e quindi scegliere a quali elementi dare importanza. Questo è un punto cruciale per la costruzione dell’identità di un’organizzazione. Se fare branding significa costruire una visione del mondo convincente, è fondamentale ri-raccontare il passato in modo che questa visione sia credibile. Mostrare quali sono gli eventi e i segnali che ci hanno accompagnato lungo il nostro percorso e ci hanno messo nelle condizioni di formare la visione a cui vogliamo dare vita.
È la prima delle tre lezioni che Steve Jobs ricava dalla sua vita e offre ai neo-laureati nel famoso discorso di Stanford: solo quando guardiamo indietro, dal punto in cui siamo arrivati, siamo in grado di connettere i puntini e dare un significato proiettivo alle esperienze che abbiamo vissuto, e che magari sul momento ci sembravano dei fallimenti.
Se hai creato un’azienda in cui ogni prodotto, ogni esperienza, ogni azione permette alle persone di “pensare in modo diverso” (Think Different), guardando indietro potrai dire che tutto ciò che hai fatto è servito a portarti dove sei arrivato: aver lasciato il college, aver dormito per terra, aver mangiato in un tempio Hare Krishna, aver smesso di frequentare i corsi obbligatori, aver cominciato a seguire liberamente solo lezioni davvero interessanti, come il famoso corso di calligrafia che sta all’origine dell’ossessione di Steve per il design.
Riscoprire il passato rimosso e connettere i punti serve a fortificare quello che facciamo oggi e quello che intendiamo fare domani. E ci dà fiducia: se sappiamo che in qualche modo, alla fine, le nostre esperienze si organizzeranno in un disegno, avremo più coraggio di seguire il nostro istinto e di fare ciò che ci sta più a cuore.
È vero per le aziende, ed è vero per le persone: Matteo che oggi con il suo lavoro in Cosmico si occupa di lavoro e futuro delle organizzazioni, si guarda indietro e:
da un lato ritrova nel suo passato i segnali, gli eventi, i documenti - come questo datato maggio 2017 - che hanno preparato il suo approdo e lo hanno portato fin qui;
dall’altro rilegge il suo passato e interpreta gli anni passati a occuparsi di brand e identità delle aziende come un’attività inscindibile dalla riflessione sulle organizzazioni e sul modo in cui gestiscono il lavoro.
Costruire l’identità di un brand, infatti, significa sempre di più portare un’organizzazione a scegliere in che modo vuole funzionare. Una grande organizzazione funziona esattamente come una community e in quanto tale si fonda su un’identità, cioè su una visione del mondo convincente, e attorno ad essa attrae le persone costruendo relazioni diverse: di lavoro (dipendenti, collaboratori e partner) o di scambio di valore (clienti o investitori).
Come si costruisce questa visione del mondo? Quasi sempre mettendo in discussione il presente. Chiedendoci: in che modo le cose potrebbero andare diversamente? Cosa possiamo fare di diverso adesso per modellare il futuro? Come possiamo far uscire la storia dai binari che sembrano obbligati?
Costruire l’identità di un’azienda non è poi tanto diverso dall’immaginare come sarebbe il mondo se avesse vinto Napoleone. Perché richiede di trovare la forza, la coerenza, l’ostinazione per immaginare una realtà completamente diversa dalla nostra.
Se non fosse così, come potrebbe essere il mondo?
Farsi questa domanda è l’inizio di ogni progettualità. Non è la fantasticheria di qualche sognatore. È l’immaginazione necessaria a chi il mondo finisce per cambiarlo davvero.
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Riflessione bellissima. Fare dell’ucronia - sia pure non sviluppata al punto di ricavarne un romanzo - è la base del pensiero critico.