Attenti a cosa fate attenzione
Per non auto-distruggerci avremo bisogno di nuove comunità educanti
In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
MATTEO
Il Futuro di oggi nasce da un post di Humans of New York condiviso da Andrea Attanà, un fedelissimo lettore di Futuri Preferibili (ciao Andrea!).
What you pay attention to – expands.
Tutto ciò a cui prestiamo attenzione cresce e si intensifica. Detto in altre parole, quello che cattura la nostra attenzione influenza il modo in cui vediamo le cose e controlla la nostra vita. È per questo che già da bambini ci insegnano ad apprezzare il bello, a vedere il bicchiere mezzo pieno, ad affrontare le situazioni con ottimismo. E quando diventiamo genitori impariamo a non concentrarci troppo su ciò che i nostri figli fanno di sbagliato: piuttosto sottolineiamo le cose che fanno bene, perché possano dirigere su quelle la loro attenzione, intensificarle e farne sempre di più.
PAOLO
Il mondo intorno a noi è stato progettato per catturare la nostra attenzione – e negli ultimi anni questa tendenza è cresciuta a una velocità incredibile. Ogni volta che fissiamo uno schermo, un algoritmo analizza attentamente ciò su cui ci concentriamo. Non si limita a guardarci, ma ci studia, misura ogni dettaglio, si allena costantemente per offrirci sempre di più di quello che ci piace. Non si cura delle nostre fragilità, incertezze, debolezze o dipendenze. Non gli interessa farci diventare persone migliori. Vuole solo una cosa: la nostra attenzione.
Flashback
PAOLO
Nelle Confessioni Sant’Agostino ricorda il suo stupore nel vedere per la prima volta Sant’Ambrogio leggere in silenzio. Il modo normale di leggere fino a quel momento era pronunciando le parole ad alta voce. La lettura silenziosa di Ambrogio appariva come una forma superiore di attenzione. Un assorbimento che diventa il perno della cultura occidentale: pensare vuol dire concentrarsi, chiudersi in sé stessi, dedicarsi intensamente a qualcosa. Maggiore la concentrazione dedicata a un oggetto, maggiore la profondità della conoscenza. Questo tipo di attenzione viene definita da Malebranche “la preghiera naturale dell’anima”, ovvero uno strumento di perfezionamento ed elevazione. Ogni progetto di crescita e di trasformazione passa attraverso l’attenzione.
Per la cultura analogica la realtà è un punto fermo, e per conoscerla basta fissarla intensamente. Con l’emergere della cultura digitale, però, la realtà comincia a muoversi. I punti si moltiplicano e l’attenzione non può più essere un rapporto statico: diventa una ragnatela. Una rete. Chiudersi in sé non serve più a comprendere il mondo: occorre inseguire stimoli esterni che crescono a dismisura.
A questo punto aziende e organizzazioni comprendono che offrendo alle persone gli stimoli giusti possono garantirsi la loro attenzione. E aggiudicandosi il tempo delle persone possono generare molto più valore di quello generato aggiudicandosi “soltanto” il loro denaro. Nasce così l’economia dell’attenzione. E l’attenzione diventa un terreno di conquista, con la creazione di tecniche e strumenti di cattura del tempo sempre più efficaci.
MATTEO
Nell’economia dell’attenzione si muovono soggetti che Sangeet Paul Choudary definisce conglomerati. I conglomerati dell’economia dell’attenzione uniscono tra loro business diversi, apparentemente non collegati, per ottenere una maggiore efficienza e scalabilità nello sfruttamento dell’attenzione delle persone. Un esempio è Amazon, per il quale Prime Video rappresenta uno strumento strategico di acquisizione e mantenimento dell’attenzione, che si trasforma poi in valore economico nel marketplace.
Per ammissione dello stesso Bezos, chi guarda film e serie su Prime Video rinnova il proprio abbonamento o converte dalle prove gratuite in percentuali maggiori rispetto a chi non utilizza Prime Video. E quali film o serie TV guardiamo su Prime Video? Amazon valuta i suoi contenuti in base al costo per il primo stream, sostanzialmente il costo di un nuovo cliente Prime: più basso è questo costo, migliore è il contenuto dal punto di vista di Amazon.
In questo scenario i contenuti sono ottimizzati per dare alle persone esattamente quello che cercano. Con la conseguente proliferazione di bolle ed echo chamber che rendono molto difficile aprirci a punti di vista diversi da quelli già accelerati dagli algoritmi dei conglomerati dell’attenzione. Come possiamo essere informati da dati e fonti attendibili, o intrattenerci con contenuti di qualità, anziché essere in balia della quantità?
Secondo Rishad Tobaccowala, per anni capo della strategia e della crescita del Gruppo Publicis, la nostra società presenta i sintomi di una “malattia autodistruttiva”. Questi sintomi sono:
le decisioni vengono prese da gruppi sempre più piccoli di persone con lo stesso background e la stessa estrazione culturale;
il culto (di un personaggio, di un mantra, di un modello economico, di un meme) si sostituisce alla cultura, anche grazie agli organi di informazione che ripetono incessantemente i pattern di successo per accaparrarsi click in più;
c’è una paura diffusa di andare contro il pensiero dominante o contro i leader riconosciuti;
le persone che hanno successo molto velocemente tendono a essere eccessivamente superbe e sicure di sé, dimenticando che i trend che le hanno portate al successo possono cambiare altrettanto velocemente.
Gli algoritmi espandono e intensificano questi sintomi, portando la nostra società verso l’auto-sabotaggio: la qualità dell’informazione si degrada, la consapevolezza diffusa diminuisce, i contenuti diventano ripetitivi e auto-referenziali. Una tendenza sempre più pericolosa in un anno già cominciato all’insegna dei conflitti, e in cui le elezioni europee di giugno e quelle americane di novembre sono destinate a esasperare ulteriormente la polarizzazione. C’è qualcosa che possiamo fare per invertire la rotta?
Fast forward
MATTEO
Rishad suggerisce un antidoto all’autodistruzione: promuovere la diversità di pensiero, costruire scenari opposti a quelli dominanti per correggerne le lacune (l’approccio What if? in questo senso è estremamente utile), non porsi alcun limite oltre a quelli legali, tecnologici o economici e infine prestare la nostra attenzione non ai titoli delle persone, ma ai loro contenuti e alla loro capacità di pensiero critico.
Recentemente mi è capitato di discutere con il mio amico Angelo Rindone del concetto di “comunità educante”, termine che indica il tessuto di relazioni che unisce i responsabili della crescita educativa, culturale e sociale dei bambini, dei ragazzi e degli adulti di un determinato territorio. Ne fanno parte i genitori, la scuola, le associazioni di volontariato, culturali e sportive, le organizzazioni religiose, ma anche gli attori economici e le istituzioni locali.
Il nostro Futuro Preferibile ha bisogno di nuove comunità educanti, che sappiano muoversi agilmente tra l’analogico e il digitale, tra le comunità territoriali e le community online. Perché una comunità coesa e ispirata da obiettivi condivisi può diventare custode dell’attenzione, aiutando le persone a riappropriarsi del proprio tempo.
PAOLO
Il tema dell’educazione è centrale perché formarsi significa decidere dove dirigere il nostro sguardo, scegliere a cosa dedicare la nostra attenzione. Troppo spesso la cultura ufficiale, le istituzioni educative, la scuola, gli intellettuali, hanno risposto ai cambiamenti cercando di riprodurre il modello della chiusura, quello di Sant’Ambrogio: ignorare il nuovo e concentrarsi sui saperi tradizionali. Continuare a fissare la realtà come se fosse un punto fermo. Ma così la realtà rischia di sfuggirci da tutte le parti, con il risultato che ciò che viene ignorato è proprio la cultura, perché non riesce più a interpretare le tensioni del presente.
Nel mondo in cui siamo immersi, conoscere è soprattutto un fatto di connessioni. Ed è per questo che il concetto di comunità diventa decisivo: sono gli stimoli che abbiamo intorno, il modo in cui il contesto ci aiuta a elaborarli, a determinare la qualità di ciò che impariamo. E quindi a orientare la nostra attenzione verso ciò che ha più valore per noi e per gli altri. Non si tratta di scegliere tra la lentezza e la profondità della cultura analogica e la rapidità e il dinamismo della cultura digitale. Si tratta di costruire ambienti in cui la varietà degli stimoli, delle fonti, dei linguaggi ci aiutano a mettere continuamente in discussione le nostre certezze, a costruire sempre nuovi punti di vista e a lasciare aperti i nostri orizzonti.
Futuri Preferibili nasce per creare risonanza. Aiutaci a capire che valore ha per te scrivendoci un commento, un’email o un messaggio su LinkedIn. Grazie!
Effettivamente un proverbio africano dice che "“Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”