In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
MATTEO
Qualche settimana fa un gruppo di attivisti a San Francisco ha bruciato per protesta una macchina a guida autonoma. L’episodio è simbolico perché accade proprio là dove è cominciata la rivoluzione tecnologica che negli ultimi trent’anni ha cambiato le nostre vite. Ed è il sintomo di un declino generalizzato della fiducia che le persone ripongono nelle promesse del mondo tech.
PAOLO
Dopo la prima spettacolare udienza di Zuck di qualche anno fa, i CEO delle grandi aziende tech sono di casa al Congresso degli Stati Uniti. Vanno e vengono dalle varie commissioni di vigilanza che cercano di capire cosa stanno combinando. Dalla protezione dei dati ai contenuti dannosi per i minorenni alla disinformazione, il problema principale delle aziende tecnologiche non è più convincere le persone che il loro lavoro migliorerà il mondo. Ma convincere la società che quello che fanno non lo peggiorerà drasticamente. È un cambio di prospettiva notevole.
MATTEO
E se allarghiamo lo sguardo, in quanto a fiducia le aziende non sono quelle messe peggio, anzi. Questa settimana è stato pubblicato il Trust Barometer, il report sulla fiducia nella società che Edelman elabora tutti gli anni. Brand e imprese sono le organizzazioni in cui le persone ripongono maggiore fiducia. Superando così le istituzioni pubbliche e le organizzazioni politiche, sempre più in crisi di credibilità. Mentre nella percezione pubblica i meno affidabili di tutti sono i giornalisti.
PAOLO
Aggiungi che negli ultimi anni sono state travolte da ondate di sfiducia anche le istituzioni che tradizionalmente hanno il compito di gestire e far progredire la conoscenza, come le università, i centri di ricerca, le istituzioni scientifiche. Trincerate nel prestigio acquisito e rallentate da metodi, processi e rituali antichi, queste organizzazioni fanno fatica a sintonizzarsi con i cambiamenti della cultura e i nuovi bisogni di conoscenza delle persone.
Flashback
PAOLO
La fiducia è il collante fondamentale della nostra società. Le nazioni, gli organi sovranazionali, le aziende, i sistemi economici, i sistema sanitari esistono solo perché gli umani sono disposti a darsi fiducia reciprocamente, e quindi a credere che gli accordi sui quali si basano queste istituzioni saranno rispettati dalla maggioranza.
Ci sono le leggi a regolare la convivenza, certo, ma come scrive Harari in Sapiens, l’attitudine fondamentale che consente agli umani di collaborare su larga scala è la fiducia in una storia condivisa, in una serie di entità, valori, forze per lo più intangibili, ma nelle quali le persone devono credere perché una comunità possa funzionare. Quando questa fiducia manca la società si disgrega.
MATTEO
Ma come si crea e si alimenta la fiducia?
Semplificando un po’ gli elementi fondamentali sono due:
l’informazione, la capacità di far circolare notizie, percezioni, storie, come dice Harari, che generano fiducia;
le azioni, i comportamenti concreti, la capacità che persone e organizzazioni hanno di mantenere le proprie promesse e di mostrarsi coerenti con i propri principi.
Raccontare storie in cui le persone si riconoscono, e compiere azioni che rispondono ai loro bisogni concreti. È questo il modo in cui le organizzazioni, ma anche i singoli individui, riescono a costruire fiducia nel tempo.
PAOLO
Per molto tempo le grandi istituzioni collettive, gli Stati, i partiti, le università, le aziende, sono riuscite a gestire e indirizzare la fiducia. Perché controllavano la comunicazione, che era prevalentemente top-down, e quindi avevano il monopolio delle storie. E perché con le loro azioni riuscivano a soddisfare i bisogni diffusi di crescita, sviluppo, conoscenza. Via via che la società cresceva, però, le esigenze si sono fatte più complesse, e la fiducia nelle istituzioni centralizzate ha cominciato a incrinarsi.
MATTEO
È stato in quel momento che la fiducia si è spostata verso le aziende tecnologiche che stavano costruendo il mondo digitale. Perché raccontavano una storia nuova alla quale le persone credevano: orizzontalità, accesso generalizzato alla conoscenza, libertà di movimento e di iniziativa, più possibilità di espressione di sé, legami e relazioni più autentiche. E perché con le azioni riuscivano a mantenere le loro promesse: connessione, creazione di comunità, ridistribuzione della cultura, facilità d’uso, servizi efficienti.
Grazie a questa combinazione di storie e azioni le piattaforme tecnologiche hanno accumulato un enorme patrimonio di fiducia. Un patrimonio che adesso stanno sperperando perché hanno scelto di privilegiare un modello che anziché dare alle persone ciò di cui hanno bisogno, sfrutta l’attenzione delle persone per trasformarla in profitto. Offrendo servizi sempre più scadenti ed estrattivi, alimentando artificialmente le contrapposizioni e la sfiducia reciproca, gestendo in modo a dir poco opaco le informazioni personali, dando libera circolazione a ogni tipo di disinformazione, le aziende tech hanno deciso di svendere la fiducia in cambio dei risultati a breve termine.
In questo contesto, come possono organizzazioni e istituzioni ricostruire la fiducia che hanno perduto?
Fast forward
PAOLO
Credo che in futuro le persone andranno a cercare fiducia in tutto ciò che in questi anni è cresciuto al di fuori sia delle grandi istituzioni tradizionali, sia dei grandi network globali. E quindi nelle comunità di prossimità, nelle reti indipendenti di studiosi, ricercatori, creativi, attivisti che pazientemente ricostruiscono il tessuto delle relazioni, e quindi della fiducia. Un po’ come qualche settimana fa ipotizzavamo per i giornalisti (e dovremo tornarci, perché la discussione che quel pezzo ha suscitato merita un approfondimento).
Ricostruiremo fiducia se riusciremo a riallineare le azioni alle promesse: se sei un medico e salvi vite, la gente si fiderà di te. Se sei un educatore e aiuti le persone a crescere, avrai la loro fiducia. Se sei una scienziata e fai progredire la società, la fiducia verrà da sé. Se lavori nella comunicazione e racconti storie credibili, le persone staranno ad ascoltarti.
MATTEO
Seguendo lo stesso criterio anche i brand e le organizzazioni potranno riconquistare la fiducia delle persone, e anzi trasformare il vuoto di fiducia attuale in una grande opportunità. Quando nella vita incontri una persona di cui ti fidi, perché condividi i suoi valori e la sua visione del mondo, o perché ti aiuta ad affrontare nuove sfide e a soddisfare i tuoi bisogni, scegli di passarci sempre più tempo, la vuoi più presente nella tua vita. Ecco, i brand dovranno diventare quella persona.
In futuro sceglieremo di fidarci dei brand che raccontano storie con cui riusciremo a connetterci sul piano emotivo e sul piano etico. E che con le loro azioni sapranno rispondere ai nostri bisogni, ovvero sapranno aiutarci a crescere, a migliorare quello che facciamo, a imparare, a gestire la nostra vita, a lavorare, a divertirci, a svolgere le attività che amiamo.
Non saranno più semplicemente i prodotti o i servizi ad attirarci e a determinare la nostra fedeltà. A convincerci di continuare a frequentare un’organizzazione sarà la capacità del brand di costruire relazioni rilevanti, durature, reciproche. Il grado di fiducia che il brand avrà costruito nel tempo. “Mi fido di te, mostrami che cos’altro sei in grado di fare per me”: sarà questa l’attitudine fondamentale delle persone. E la capacità di stabilire relazioni diventerà un fondamentale driver di crescita economica, come indicato dal fatto che già oggi si parla di “relationship economy”.
Le organizzazioni che riusciranno a creare questo tipo di relazioni avranno anche molta più facilità a espandersi in settori diversi da quello di partenza. Se le persone si sono fidate una volta, e hanno avuto un beneficio riconoscibile, saranno disposte a fidarsi ancora e anche in altri ambiti. Se un brand li aiuterà a risolvere un problema, saranno inclini a seguirlo anche in relazione ad altri problemi.
PAOLO
Un giorno su un muro di Roma ho letto la scritta: “Fidate, nun te fidà”. Non è solo una sintesi perfetta della cinica saggezza dei romani, è anche il sintomo di uno scetticismo diffuso nella cultura del nostro tempo. Nel nostro Futuro Preferibile la saggezza del popolo romano dovrebbe essere rovesciata: “Non ti fidare, fidati”. Non rassegnarti a tutta questa sfiducia. Trova qualcuno di cui fidarti.
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