In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
MATTEO
Nell’aprile 2020, in pieno lockdown, io e il mio socio Simone pubblicavamo un paper dal titolo Il momento è adesso – Cosa Covid-19 insegna ai brand su come rispondere alla catastrofe.
La parte iniziale racconta i cambiamenti che mercato e società hanno vissuto dal dopoguerra ai giorni nostri. In estrema sintesi, la situazione attuale si può fotografare così:
siamo sottoposti a una molteplicità di stimoli;
questi stimoli sono offerti da un vastissimo panorama di persone, aziende, organizzazioni su scala globale e locale;
ognuna di queste persone, aziende e organizzazioni compete con le altre per ottenere la nostra attenzione;
la moneta dell’attenzione non è il denaro, ma il tempo;
per aggiudicarsi il nostro tempo i soggetti economici devono interessarsi di tutto quello che facciamo, anche quando non consumiamo prodotti o servizi;
così facendo allargano il mercato fino a farlo coincidere con la società – e i brand colmano il vuoto lasciato da ideologie e religioni nell’organizzare le priorità della nostra vita.
PAOLO
Il racconto di come la società è diventata mercato – e di come l’essere umano è stato progressivamente ridotto alla sua sola dimensione di consumatore – è lo stesso che propone Jon Alexander nel suo libro Citizens. La sua analisi, tuttavia, fa un passo ulteriore che vogliamo approfondire.
Flashback
MATTEO
L’ipotesi iniziale di Alexander è che in ogni epoca esiste una sola idea dominante del ruolo dell’individuo nella società. E che questa idea si evolve e cambia nel tempo.
Fino agli inizi del XX secolo il ruolo dell'individuo è stato quello di Subject: ogni umano aveva ciò che gli veniva dato, era ciò che gli veniva detto di essere. Il suo compito nella società era fare il proprio dovere; a definire il perimetro dei comportamenti accettabili è stata per secoli la religione, poi affiancata dalle nazioni e dagli Stati.
Dopo due guerre mondiali in cui gli Stati hanno mandato gli individui-soggetti incontro a tragiche carneficine, è emersa una nuova idea dell’individuo nella società, valida e attiva ancora oggi: il Consumatore. Per molti versi questo passaggio è stato liberatorio: come consumatori abbiamo guadagnato la libertà di scelta e abbiamo acquisito diritti che prima non avevamo. Il consumo è il nostro modo di partecipare alla vita della società, prendere posizione e persino risolvere i problemi più gravi del nostro tempo. C’è la crisi climatica? Consuma meno acqua, compra un’auto elettrica, mangia più verdure.
Alexander chiama “scelte” ciò che io e Simone definivamo “stimoli”. Funziona così: il ruolo che abbiamo come individui è perseguire il nostro interesse personale, con l’idea che questo sforzo individuale sommato a quello degli altri ci consentirà di ottenere i migliori risultati anche per la società. Le scelte che facciamo sono il modo che abbiamo per affermare il nostro potere, la nostra creatività, la nostra identità: ci rendono ciò che siamo. Ogni organizzazione e istituzione, dalle imprese agli enti di beneficenza ai governi, esiste per fare e condividere scelte. Allo stesso tempo, il loro compito è quello di creare i prodotti e i servizi che abilitano gli individui a fare le loro scelte.
La contropartita di un mondo fatto di consumatori, è un mondo in cui tutti sono fornitori.
PAOLO
Abbiamo creato un sistema fondato sull'acquisto come mezzo per raggiungere la felicità, sul culto del nuovo, la democratizzazione del desiderio e il denaro come misura predominante di ogni valore nella società. Su questo sistema abbiamo costruito un notevole periodo di pace e consenso politico. Ma proprio gli aspetti positivi di questo assetto hanno dei limiti oltre i quali il sistema si rovescia nel suo doppio oscuro: l’indipendenza degli individui diventa individualismo estremo, la libertà di scelta diventa la pretesa di fare ciò che si vuole, anche a scapito degli altri.
Così, mentre inseguivamo il miraggio di un’età dell’oro in cui consumando beni e servizi avremmo potuto ottenere ciò che volevamo – e persino risolvere i problemi del mondo – ci siamo trasformati in una società iper-individualista, che ha generato disuguaglianza e nuove crisi per il pianeta.
Ma ora le cose stanno cambiando di nuovo – devono cambiare – perché il progresso trainato dalla società dei consumatori si è fermato.
Fast forward
PAOLO
Dopo l’era del soggetto e l’era del consumatore, secondo Alexander dovrà nascere l’era della cittadinanza. Gli individui penseranno e agiranno come cittadini: rivendicando un ruolo attivo nel dare forma alla società, coltivando connessioni significative con gli altri, reclamando la responsabilità delle proprie azioni, contribuendo a costruire comunità e istituzioni in grado di favorire la cooperazione e la reciprocità.
Nella società dei cittadini il ruolo delle organizzazioni sarà quello di coordinare e facilitare gli sforzi degli individui. Non più imporre decisioni e comportamenti dall’alto, non più soltanto mettere servizi e prodotti a servizio delle scelte dei singoli, ma organizzare forme di coinvolgimento, “piattaforme” che favoriscono l’azione diretta e l’affermazione dei cittadini. Piattaforme che non dovranno essere unicamente digitali, anche se sarà importante riscoprire che Internet non è solo il più grande marketplace della storia, ma un potente strumento al servizio delle conversazioni. Anche le istituzioni politiche, i movimenti e i partiti, dovranno imparare a non presentarsi più come “fornitori di ideologie” e di discorsi polarizzanti, ma come abilitatori della partecipazione.
La società della cittadinanza è già in cammino, si manifesta ovunque le persone hanno cominciato ad affermare i propri diritti e a organizzarsi per ottenerli. Si manifesta nei luoghi che nascono per dare spazio alle idee delle persone, raccogliere le loro energie e orientarle verso il cambiamento. Accade nelle associazioni, nei comuni che sperimentano la democrazia diretta, nelle scuole, nella biblioteche, nei musei che promuovono progetti di inclusione e coinvolgimento. E può accadere anche nelle aziende, se saranno disposte a cambiare il loro modo di guardare alle persone: non più clienti attuali o potenziali, ma cittadini da coinvolgere in un percorso comune di trasformazione.
Il Futuro Preferibile in cui la società dei consumatori si trasforma nella società dei cittadini è una grande opportunità per i brand, che dovranno imparare che il loro compito non è più fornire scelte, ma ispirare e attivare connessioni.
MATTEO
L’analisi di Alexander ci fa capire una cosa importantissima: non si può progettare il futuro senza scrivere una storia nuova e migliore. Oggi abbiamo bisogno di affrontare sfide complesse e non possiamo farlo senza un racconto più convincente di quello dell’individuo-consumatore.
Come possiamo fare?
Prima di tutto, tranquillizziamoci: l’individuo-cittadino è anche consumatore. Quello che cambia è che passiamo dall’essere consumatori-che-votano a essere cittadini-che-consumano. Se oggi i brand sono importanti per definire chi siamo e a che cosa aspiriamo, domani saranno centrali le azioni che sceglieremo di compiere, ciò che facciamo invece di ciò che possediamo. Ne abbiamo già parlato in Futuri Preferibili, quando abbiamo scritto che:
Impegnarsi seriamente in un percorso di crescita e di miglioramento è ciò che ci tiene vivi, che ci fa desiderare di esserlo.
In questo senso anche la nuova versione del “lavoro su di sé” si allontana dall’atteggiamento individualistico, egoistico e anti-sociale dell’età dei consumi. Parliamo di un nuovo individualismo aumentato, dove acquisiamo consapevolezza che preservare la natura e le nostre relazioni con gli altri esseri umani è nel nostro interesse personale, perché in cambio loro sosterranno noi e la nostra crescita.
La visione darwiniana della selezione in cui tutti competono contro tutti, perfetta per l’età dei consumi, verrà sostituita da una nuova visione dell’evoluzione come frutto dell’empatia e della collaborazione tra gli esseri viventi.
Ma questa storia dell’individuo-cittadino è ancora lontana dall’essere familiare e condivisa. Ha bisogno che le comunità e le organizzazioni di tutti i settori adottino nuovi modi di pensare e di operare, scegliendo di apprendere più dai loro pari nel mondo, che dalle regole che tenevano in piedi il vecchio mondo da cui veniamo.
Nel 2020, in lockdown, abbiamo lanciato con alcuni amici Branding Humanity, un progetto che intendeva creare un brand universale per tutti gli esseri umani, qualcosa che abbia la funzione di farci sentire parte della stessa grande comunità che condivide uno scopo comune.
Penso che come esseri umani abbiamo tutti gli strumenti e le risorse necessarie per costruire una nuova umanità: il nostro cervello, la nostra voce, le nostre mani e il nostro denaro. Possiamo sceglierli di utilizzarli per competere, gridare, dividere e comprare, oppure possiamo scegliere di servircene per prenderci cura, condividere, rigenerare e unire ciò che oggi è rotto e diviso.
Con Branding Humanity volevamo raccontare una nuova storia, molto vicina a quella che oggi chiamiamo la storia dell’individuo-cittadino. Per renderla convincente, ci siamo appropriati di un linguaggio normalmente associato all’idea dell’individuo-consumatore (il branding) per reinventare la sua applicazione e, in un certo senso, il suo significato.
Probabilmente abbiamo bisogno di più esperimenti come questo – e di persone che creino nuove piattaforme di collaborazione, nuove forme organizzative, nuove storie per trasformare la storia dell’individuo-cittadino nel racconto dominante.
Questo è il nostro augurio per il nuovo anno.
Ci rivediamo a gennaio, con nuovi Futuri Preferibili da esplorare insieme.
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Un bel futuro preferibile, questo.
Mi fate immaginare un futuro al di là dei consumers, degli users e dei followers. Può sembrare un concetto lontano, ma qualcuno dovrà pure iniziare a progettarlo. Dopotutto, l'orizzonte di un'idea ambiziosa spesso si misura dalla sua apparente irrealizzabilità.
Personalmente, trovo che l'approccio della Gen Z al mondo del lavoro rappresenti una buona speranza. La loro visione etica, che va oltre la mera retribuzione, è un punto di svolta. Mentre la maggior parte dei boomers e dei millennials ancora dibattono sulla settimana lavorativa ridotta, sembrano incapaci di liberarsi dall'idea del lavoratore come mero produttore di forza lavoro, anziché considerarlo un cittadino della società. (E lo dico da millennial, eh)
Bello anche il progetto Branding Humanity, davvero affascinante, ho appena firmato.