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Simone Tornabene's avatar

Altra bellissima newsletter. Credo però sia importante una distinzione: la post-verità è un fenomeno nuovo perché è una forma di finzione che passa per verità fattuale in un mondo dove la verità fattuale è utilizzata come la finzione: per connettere. La finzione è sempre esistita, ma in un mondo dove si cercava anche una verità fattuale ed entrambe esistevano con funzioni e perimetri chiari, anche nella mente di chi le confondeva per ignoranza o convenienza. Un mondo dove tutto (finzione e verità fattuale) viene usato solo per connettere ed è “utile”, è un mondo dove le distanze tra le posizioni (storie identitarie e identità) tende a diventare incolmabile. Dove si parla senza capirsi né ascoltarsi. Un mondo dove una dittatura totalitaria non avrebbe bisogno di mentire per mobilitare, le basterebbe mantenere una storia forte, con l’aiuto di molti. Un mondo dove una cosa come il nazismo sarebbe più grande, più stabile e più capillare

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Paolo Gervasi's avatar

Grazie Simo! È vero che la post-verità ha uno statuto nuovo dovuto più che altro alla "distribuzione", legata agli ambienti digitali. Eppure io penso sempre alla confutazione del concetto che fa Baricco, ricostruendo il contesto informativo di quando lui era bambino: un solo telegiornale, un manipolo di giornali controllati da poche famiglie, una comunicazione interamente unidirezionale. Quanta verità circolava in quel mondo? Non molta più di adesso secondo me.

Il problema è che la verità per me - a parte forse in campo scientifico - è sempre una forma di negoziazione. E questo non significa che "vale tutto", significa però che il nostro sforzo critico non va applicato tanto a certificare una verità univoca, quanto a capire appunto cosa una finzione vuole farci fare, a quale scopo è stata creata.

Mi piace l'immagine che illustra l'articolo perché quel gesto, alzare al cielo un libro, una finzione che mobilita, nella storia è stato sia un gesto di liberazione, sia una chiamata totalitaria. E questo non va dimenticato, come dici tu.

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GIOVANNI GIBIINO's avatar

Mi avete ricordati Galimberti che diceva (riparafraso...): "Amore deriva dal greco "a" che è privazione e "mortis", quindi privo di morte, in assenza della morte. Bello vero?!? E la cosa più bella è che me la sono inventata, e ciò che conta è che piaccia e che ispiri".

Più o meno erano queste le sue parole.

Se ci pensate, quando siamo piccoli, impariamo la realtà danzando tra la sperimentazione atraverso i 5 sensi con essa e la visualizzazione, immaginazione e il gico del "facciamo finta che...".

La nostra natura impone la danza tra vero e falso sul fulcro dell'utilità. Ciò che conta è ciò che serve, a noi, per vivere bene e al meglio, in armonia, con noi stessi, gli altri e il mondo. L'utilità è sempre stata al centro della nostra evoluzione, siamo noi che abbiamo costruito una romantica verità cangiante e dimentica per rendere tutto più sostenibile.

Complimenti, come sempre, per i vostri scritti e gli spunti che nascono.

Grazie!

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