In questa newsletter raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
Nel 2007 lo scrittore e futurologo Alvin Toffler ha scritto: «Il sistema scolastico pubblico è progettato per produrre forza lavoro per un’economia che non ci sarà».
Oggi la frase potrebbe essere corretta in modo ancora più radicale: il sistema scolastico è progettato per produrre abitanti di un mondo che non ci sarà.
La scuola, scriveva lo studioso Ivan Illich già nel 1971 nel libro Descolarizzare la società, non è organizzata per educare ed emancipare le persone. È organizzata per scolarizzarle. Non insegna ciò che serve agli individui per progredire e prosperare nella vita. Insegna ciò che serve a progredire e prosperare all’interno dell’istituzione scolastica.
La scuola insegna ad andare a scuola. A stare seduti al banco, ad alzare la mano per parlare, a fare i compiti, a superare le prove, a ottenere una certificazione. Insegna a obbedire alle istituzioni, a ricevere passivamente un’istruzione.
Naturalmente esistono eccezioni, e soprattutto esiste il grande, eroico lavoro che fanno gli insegnanti per far crescere persone e non solo studenti; qui però parliamo dell’istituzione, di cui proprio gli insegnanti migliori sono le prime vittime.
In una società sempre più complessa, in cui la tecnologia sta cambiando per sempre ciò che significa sapere, avremmo bisogno di un modo diverso di imparare. Anzi, avremmo bisogno di disimparare il modo in cui abbiamo imparato finora.
Flashback
Prima che nascesse la scuola come istituzione, il compito dell’insegnamento era preparare alla vita.
Socrate non insegnava filosofia: si aggirava per le strade di Atene interrogando i cittadini sui problemi dell’esistenza. Aristotele non ha dato una laurea ad Alessandro Magno: lo ha aiutato a comprendere il mondo, e lui si è messo in testa di conquistarlo.
Quando la scuola si è allargata a tutta la società ed è diventata di massa, per gestirla gli Stati hanno dovuto ottimizzare le risorse e standardizzare i percorsi. Così sono nate le classi, i cicli, le materie, le verifiche e i voti.
Il risultato è che oggi la scuola non insegna a imparare, farsi domande, crescere, esplorare la realtà. Insegna delle materie. Anzi, delle discipline: nozioni che servono più a dare le risposte giuste, che a formulare le domande fondamentali.
Alcuni dicono che la scuola va cambiata perché dovrebbe preparare meglio al mondo del lavoro, formare i professionisti di domani. Altri si oppongono con forza a questa idea, e dicono che la scuola non deve formare lavoratori ma cittadini e persone libere.
Il problema è che la scuola attuale non fa né l’una né l’altra cosa: non prepara al mondo del lavoro, perché troppo astratta e legata a programmi obsoleti; e non prepara al mondo, perché troppo chiusa in sé stessa, incapace di intercettare quello che succede fuori.
Noi due, Paolo e Matteo, siamo due esempi viventi dei limiti del sistema formativo, e per motivi opposti.
Paolo si è formato dentro l’università ed è diventato un super specialista accademico. Ma si è accorto che il sapere accumulato serviva a poco fuori dall’università, per intraprendere un percorso professionale. Una volta evaso dall’università, ha dovuto ricominciare a imparare.
Matteo ha cominciato il suo percorso imprenditoriale, ha fatto esperienze, ha imparato facendo, e intanto coltivava una passione personale per lo studio e la ricerca. Il sapere che gli serviva se lo è andato a cercare, non gli è arrivato da nessuna istituzione.
Abbiamo scavato ognuno il proprio tunnel da due versanti opposti della montagna: Paolo partendo dalla ricerca pura e andando verso la pratica professionale; Matteo partendo dalla pratica e andando verso la ricerca e lo studio.
Incontrandoci, abbiamo capito che il sistema educativo ha bisogno di integrare queste due prospettive, di trovare una sintesi tra la profondità dello studio e la capacità di applicarlo alle imprese della vita, intese non solo come aziende.
Fast forward
Dobbiamo rinunciare alla scolarizzazione e riscoprire l’apprendimento come capacità di esplorazione, di ricerca, di interrogazione. Come opportunità per gli individui di andare alla scoperta di sé stessi e di liberare tutto il proprio potenziale.
Così abbiamo immaginato una Scuola Preferibile. Non fa differenza che sia una scuola elementare, o una media, o un’università. Probabilmente tutti i contesti formativi, di ogni ordine e grado, dovranno reinventarsi mettendo in pratica una serie di spostamenti essenziali.
→ Dalle risposte alle domande
La tecnologia rende sempre meno sensato studiare per imparare delle risposte. Dovremo studiare per imparare a formulare le domande giuste in ogni contesto. Le domande in grado di aprire gli orizzonti e di andare al di là delle nozioni e delle verità ricevute.
→ Dai programmi ai problemi
Non potremo più studiare seguendo programmi ministeriali lineari organizzati in ordine cronologico. Partiremo da un problema, da una domanda, da un fenomeno che vogliamo comprendere, per poi far convergere tutti i saperi che servono ad affrontare il problema che abbiamo scelto.
→ Dalle materie all’immaginazione
Dovremo abbattere totalmente le barriere disciplinari, e imparare a far interagire le diverse conoscenze. Mettendo al centro un’idea nuova del sapere umanistico, per riscoprire che pensiero critico, creatività, immaginazione hanno un ruolo fondamentale in tutte le attività umane, dal business all’innovazione tecnologica.
→ Da una sola intelligenza a tutte le intelligenze
La scuola uguale per tutti privilegia un certo tipo di intelligenza (logico-analitica) ed emargina altri tipi di intelligenza (creativa, emotiva, relazionale). La tecnologia oggi permette di modellare e personalizzare i percorsi di apprendimento, consegnando a ognuno la propria strada, e reintegrando tutte le forme di intelligenza.
→ Dalla classe alla comunità
Troppo spesso le classi sono raggruppamenti di individui che imparano ognuno per sé. Bisogna rendere i gruppi più vari e misti, anche per età ed esperienze, e trasformarle in comunità che imparano insieme, in cui lo scambio e l’insegnamento reciproco sono strutturali e non episodici.
→ Dall’isolamento all’apertura
La scuola non deve offrire lavoratori all’impresa, ma deve mettere le persone in collegamento costante con quello che succede nel mondo, e quindi anche con il mondo del lavoro e delle imprese. La scuola non serve a trovare lavoro, ma può servire a inventarne uno.
→ Dalla tecnofobia alla tecno-alleanza
All’inizio la scuola ha risposto alla comparsa dell’AI proibendola. La strada è quella opposta: l’AI dovrà essere integrata strutturalmente nei percorsi di studio per potenziare le capacità di ricerca, scrittura, indagine, creazione. Questo richiede un grande sforzo di riformazione dei docenti, che non potranno più preoccuparsi se gli studenti copiano i compiti, ma inventarsi compiti che gli studenti non possono far fare all’AI.
→ Da “cosa studi” a “chi vuoi diventare”
Per Nietzsche lo scopo della ricerca intellettuale era “diventare ciò che si è”. A guidare la scelta di scuole e università non dovrà essere più questa o quella specializzazione, ma un’idea di sé e del percorso che si vuole intraprendere. Sogniamo scuole che offrono percorsi da “esploratore”, da “leader”, da “costruttrice” o da “caregiver”, e che insegnano tutto ciò di cui c’è bisogno per “diventare ciò che si è”.
Se non sarà la collettività a inventarsi la scuola del futuro, è sempre più probabile che ci penseranno le aziende, nello sforzo di creare forza-lavoro più adeguata ai nuovi mercati. Google già da qualche anno ha lanciato le sue “lauree” da 6 mesi, e sempre di più le aziende si affidano a forme di apprendimento extra e post-scolastico per stimolare le competenze di cui hanno bisogno.
Saranno scuole più specializzate, più brevi, più tecniche, più influenzate dal business. E quindi rischiano di essere scuole umanamente più povere. Per questo non abbiamo scelta: per difendere la ricchezza del nostro patrimonio di cultura, di sapere, di umanità, dobbiamo disimparare tutto, e ricominciare a imparare.
Condivido ma applicherei anche due punti:
- Rigida divisione fra scuola primaria (dove si apprende a capire sé stessi e il mondo) e scuola secondaria (che ti insegna un mestiere)
- Accorcerei la scuola primaria in modo che a 22 anni si finisca l’intero ciclo (primario+secondario) e si metta energia nel plasmare il mondo (e nello sbagliare)
Avete praticamente scritto il metodo Montessori :-)