In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Andiamo?
Noi siamo qui
Qualche settimana fa è uscita un’intervista del Financial Times all’economista Mariana Mazzucato che conteneva critiche molto dure alle grandi società di consulenza.
Mazzucato è una pensatrice che non teme di andare contro-corrente. Nel suo libro The Entrepreneurial State ha affermato che gli Stati devono guidare lo sviluppo dell’economia, contro il mito dell’autonomia assoluta del mercato. Nel suo nuovo libro, The Big Con, scritto con Rosie Collington, sostiene senza mezzi termini che il business della consulenza indebolisce le aziende, i governi e le economie.
Le società di consulenza, secondo Mazzucato, influenzano pesantemente le politiche pubbliche. Impediscono ai governi di svolgere in pieno il loro ruolo di guida e orientamento, soprattutto sulle questioni economiche. Assorbono risorse enormi, in cambio di consigli spesso discutibili.
Affidandosi ai consulenti, i governanti “esternalizzano” la responsabilità, aumentando così la sfiducia e il distacco dei cittadini dalla politica.
Le società di consulenza non rendono gli Stati indipendenti e capaci di agire in autonomia, ma al contrario fanno in modo che le istituzioni pubbliche non possano più fare a meno della loro “copertura”, rinnovando un contratto dopo l’altro.
Lo stesso discorso vale per le aziende: le società di consulenza vendono competenze che non sempre si rivelano all’altezza, costano più di quello che producono, lavorano in modo opaco “nascondendosi” dentro i processi delle organizzazioni, deresponsabilizzano i manager. E assorbono enormi quantità di talento che, secondo Mazzucato, potrebbero essere impiegate per cambiare la società, anziché riprodurre sempre gli stessi schemi.
La presa di posizione di Mazzucato è stata accolta nel mondo della comunicazione con ondate di Schadenfreude, il sottile piacere che si prova quando le cose vanno male al primo della classe. Ma se Atene piange, Sparta non dovrebbe ridere. I vizi dei grandi non sono automaticamente le virtù dei piccoli: spesso il lavoro proposto da tutti coloro che si occupano di consulenza (di management, design, tecnologia, innovazione, comunicazione) ha problemi simili, e non può nemmeno contare sulle enormi risorse dei colossi.
Invece di farci pensare che siano problemi solo dei grandi, le accuse di Mazzucato dovrebbero interrogare tutti, le agenzie, gli studi di design, le aziende: cosa significa fare strategia? In che modo la consulenza può davvero creare valore, offrire un supporto significativo, migliorare le organizzazioni e renderle indipendenti?
Flashback
La storia della consulenza ha origine all’inizio del secolo scorso. Con il Management Scientifico Frederick Taylor di fatto inventa l’organizzazione del lavoro, e quindi apre un nuovo mercato: la consulenza manageriale.
If you can’t measure it, you can’t manage it.
Nel corso degli anni Sessanta e Settanta le aziende hanno bisogno di strumenti per muoversi in un contesto economico sempre più complesso e globale. Le società di consulenza offrono quegli strumenti: introducono metodi all’avanguardia per analizzare i dati di mercato; si servono delle competenze di accademici ed esperti di settore; aiutano le aziende a costruire supply chain più efficienti, a migliorare il posizionamento dei loro prodotti, a capire da quali mercati uscire e in quali entrare.
Non solo: i consulenti forniscono giustificazioni per i licenziamenti e le decisioni più impopolari. Nel suo libro The Firm, il giornalista Duff McDonald sostiene che McKinsey “potrebbe essere il singolo più grande legittimatore di licenziamenti di massa nella storia”. E ancora Daniel Markovits scrive, su The Atlantic, che McKinsey e le società di management consulting hanno distrutto la middle class americana. Perché, consigliando sistematicamente ai CEO operazioni di workforce reduction e overhead cutting, si sono di fatto sostituite al middle management, che fino agli anni 80-90 rappresentava anche il 20-25% della forza lavoro di un’azienda.
Crescendo, le società di management consulting cominciano ad assumere gli studenti più brillanti e preparati delle scuole di economia più prestigiose. Il Master in Business Administration diventa una scelta formativa molto attraente. Tra il 1970 e il 1995 i laureati in MBA passano da 25.000 a 90.000.
Ancora oggi molti dei migliori laureati dei college d'élite passano attraverso la consulenza prima di iniziare la loro carriera lavorativa. Sanno che è il modo migliore per proiettarsi verso ruoli di prestigio e stipendi alti, anche se per qualche anno dovranno lavorare settanta, ottanta ore a settimana, spesso fuori casa, passando la maggior parte del tempo a fare e rifare documenti in PowerPoint e qualche modello Excel. Ma la prospettiva di fare carriera vale la fatica.
Presto le società di consulenza diventano molto grandi, e molto ingombranti. Cominciano ad arrivare le critiche. Quella di Mazzucato è solo l’ultima di una lunga serie.
Già Steve Jobs, in un suo intervento al MIT nel 1992, aveva detto che ai consulenti mancano le competenze per orientare il lavoro delle aziende. I loro consigli non si confrontano mai con la responsabilità dell’implementazione e dei risultati. Non mettono mai le mani in ciò che davvero genera valore e migliora il lavoro dei professionisti che stanno all’interno.
La consulenza, dice Jobs, si ferma alla superficie: pensa e dice di conoscere tutti i prodotti e i settori, ma la verità è che colleziona soltanto fotografie di prodotti e di settori, perché non scende mai in profondità, non entra in contatto con la realtà delle cose.
L’iPhone non esisteva ancora. Internet non era ancora diffusa. Perfino Jobs forse non sapeva quanto le cose stavano per cambiare. A cominciare dal rapporto tra superficie e profondità.
Come scrive Baricco nel suo The Game, nel Novecento l’obiettivo della conoscenza era superare la superficie, perché “in superficie c’era il caos, o nel migliore dei casi l’infida rete delle percezioni”. Questo superamento era faticoso e raro, ed era comunque “qualcosa che implicava sforzo e sacrificio”.
Internet sancisce la fine di questa esperienza conoscitiva e la nascita di un pensare alla rovescia fondato sulla superficialità:
La complessità, sopra, il cuore utile del mondo, sotto. La fatica, sopra. Il premio, sotto. Una figura chiara, no? Capovolgetela, per favore. Cosa vedete? L’iPhone. Il premio, sopra. La fatica, sotto. Le essenze portate in superficie, la complessità nascosta da qualche parte.
Pensare alla rovescia significa “rifiutare la profondità come luogo dell’autentico e collocare in superficie il cuore del mondo”. Baricco, in un certo senso, spiega a Jobs che le fotografie di prodotti e settori appese al muro dai consulenti potrebbero avere un significato diverso.
La superficialità non è più un modo di banalizzare la realtà, ma un cambio di passo e di velocità, un insieme di caratteristiche “aerodinamiche” che consentono agli umani, ai loro linguaggi e ai loro strumenti di potenziare la capacità di fare, raggiungendo risultati impensabili.
L’intuizione di Baricco spiega perché nell’epoca digitale hanno trionfato i “collezionisti di fotografie”, ovvero tutti quei professionisti che, proprio come i consulenti, rifiutano di scendere nella profondità e nella complessità di un unico prodotto, di un solo processo, di una sola azienda, per spostarsi velocemente da un prodotto/processo/azienda all’altro/a.
Capacità di sintesi e velocità, oggi, sono più preziose dell’esattezza e della precisione.
Fast forward
Quindi andiamo spediti verso un futuro dominato dalla consulenza? Non è detto. Come spesso accade ai dominatori, la industry della consulenza ha tutte le caratteristiche per una sua prossima disruption:
è un oligopolio controllato dalle Top 3 (McKinsey, Bain, BCG) e Big 4 (Deloitte, KPMG, Pwc, EY): il comportamento degli oligopolisti è tendenzialmente conservativo, finalizzato a mantenere lo status quo anziché innovare;
i clienti manifestano una frustrazione crescente per il modello proposto dai consulenti, che si basa sul pagamento di una fee per le ore o le giornate di lavoro svolte, non per i risultati generati;
la velocità con la quale si muovono la tecnologia e, di conseguenza, il business rende i consigli dei consulenti superati quasi nel momento stesso in cui vengono formulati;
le società di consulenza vendono “persone” e le loro competenze, ma presto molto del lavoro svolto da queste persone potrà essere fatto dalle macchine;
l’asimmetria delle informazioni e dell’esperienza sulla quale le società di consulenza hanno costruito i loro imperi è messa in discussione dalla tecnologia e da Internet, che rendono informazioni ed expertise molto più accessibili a tutti.
Quale sarà quindi il futuro (preferibile) della consulenza?
Per noi è indissolubilmente legato al modo in cui persone e organizzazioni daranno forma al futuro del lavoro.
Le persone
Oggi le società di consulenza sono attraenti per i neolaureati perché promettono prestigio, guadagni e carriera. Sono la conseguenza di un sistema educativo che premia i risultati e le performance, anziché stimolare l’auto-realizzazione. Che si concentra sugli esami da superare, anziché offrire agli studenti percorsi di orientamento e scoperta profonda di sé.
Ma siamo sicuri che la nuova generazione di studenti, e quindi di professionisti, metterà ancora in cima alle proprie priorità il guadagno, il prestigio, la promessa di una carriera facile e veloce?
Oppure cercherà sempre di più percorsi di scoperta, significati profondi da dare alle proprie esperienza, libertà e autonomia? Inseguirà un progetto da realizzare, oppure continuerà a riempire slide e fogli di Excel?
La risposta, per fortuna, non è più scontata.
Le organizzazioni
Finora hanno delegato all’esterno il compito di pensare e innovare. Ma pensare e innovare più velocemente e meglio degli altri non è più qualcosa che si può comprare all’esterno, ottimizzare, misurare.
La trasformazione continua richiede una straordinaria capacità di immaginazione, che va allenata ed esercitata ogni giorno. Per questo le organizzazioni di maggior successo valorizzano al massimo le loro persone, stimolando il pensiero divergente, la creatività e l’imprevedibilità più che la routine o l’esecuzione di processi prestabiliti. Le società di consulenza, con i loro framework, non sono ancora strutturate per rispondere alle nuove esigenze organizzative.
Nel nostro futuro preferibile le società di consulenza creeranno un valore economico e sociale.
Per i clienti: superando il modello land and expand, adottando modelli che risolvono problemi specifici, con conoscenze ed expertise altrimenti inaccessibili sul mercato. E facendosi pagare in base ai risultati raggiunti.
Per le persone: promettendo ai talenti qualcosa di più di carriera e stipendio. Riempiendo di significato i loro purpose, che suoneranno molto meno generici degli attuali “To help create positive, enduring change in the world” (McKinsey) o “Unlocking the potential of those who advance the world” (BCG).
Nel nostro futuro preferibile le organizzazioni vorranno tornare a essere indipendenti, a pensare con la propria testa, a prendersi la responsabilità della loro crescita e del loro sviluppo. Si scrolleranno di dosso il peso della consulenza permanente, e si serviranno del management consulting solo quando avranno bisogno di obiettività, di uno sguardo esterno ed esperto. Quando vorranno vedere una fotografia del mondo.
Diventeranno i posti in cui i giovani talenti, i neolaureati vorranno andare a lavorare. Perché dentro organizzazioni indipendenti e immaginative potranno essere persone indipendenti e immaginative, e dare un senso alla propria esperienza. Le società di consulenza continueranno a essere una valida alternativa solo se saranno capaci di giocare a rialzo in termini di scopo e autonomia, non solo di stipendi e benefit.
Nel nostro futuro preferibile, insomma, torneremo tutti a pensare alla rovescia: le società di consulenza, che vorranno creare autonomia e non dipendenza; le organizzazioni, che vorranno riprendersi la responsabilità e non delegarla; le persone, che inseguiranno uno scopo e non una carriera.
Al prossimo futuro!
Bellissima