In questa newsletter raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
«Qua dentro nessuno può imparare niente. Sembra un recinto per il bestiame».
Alla fine della seconda puntata di Adolescence il poliziotto commenta così la sua visita alla scuola, che appare come un luogo di violenza e sopraffazione, dominato dalla legge del più forte.
Il senso di smarrimento e impotenza per il destino delle giovani generazioni è stato uno dei motivi che ha incollato così tanta gente davanti alla serie, e l’ha resa oggetto di infinite discussioni.
La frustrazione degli insegnanti dentro la serie - «these kids are fucking impossible», dice uno di loro - ha risuonato con quella degli insegnanti reali, che sempre più spesso denunciano quanto è difficile insegnare a una generazione che sembra refrattaria a ogni tentativo educativo.
In una delle molte testimonianze che abbiamo letto, un insegnante dice: è più facile insegnare in carcere che insegnare a scuola. Perché in carcere le persone hanno il desiderio di imparare qualcosa che possa cambiare le loro vite. Vogliono migliorarsi. Cercano un’alternativa.
Gli studenti invece agli occhi degli adulti somigliano a detenuti privi anche della volontà di riscatto. Ma è davvero così?
Ogni generazione ha creduto che la successiva fosse “irrecuperabile”. È un meccanismo di difesa, ma anche di rimozione. Ci esonera dal fare domande scomode sulle istituzioni educative, sulla loro funzione, sulla loro forma.
Ma una domanda scomoda da fare c’è: e se fosse la scuola ad aver perso la capacità di proporre ai giovani delle alternative per cui vale la pena impegnarsi?
Flashback
In età pre-moderna è esistita un’idea di educazione in cui il sapere non era soltanto una serie di nozioni e informazioni da apprendere, ma un percorso di trasformazione ed elevazione.
Nella tradizione filosofica antica il pensiero era uno strumento per la cura e il miglioramento di sé.
Il filosofo Pierre Hadot ha mostrato come in molti testi antichi greci e latini si trovino veri e propri “esercizi spirituali”: pratiche, meditazioni, dialoghi interiori, che avevano lo scopo di modificare profondamente il modo in cui le persone vivevano. Per Socrate, Epicuro, Seneca, la filosofia era uno stile di vita. Non si trattava di spiegare concetti, ma di vivere secondo principi che elevassero l’esistenza.
Questa tradizione si è inabissata quando la formazione è diventata di massa, e i percorsi di esplorazione sono diventati discipline uguali per tutti.
L’istituzione scolastica è diventata uno strumento per istruire masse di cittadini obbedienti, secondo un modello industriale e gerarchico. La pedagogia dell’obbedienza, come la chiama Paulo Freire, ha dominato per decenni. È la scuola che “versa” conoscenze negli studenti come se fossero recipienti vuoti, senza interrogarsi su cosa vogliano sapere, o su chi possano diventare.
Questa impostazione alla lunga ha generato una crisi di fiducia.
Abbiamo smesso di credere che le istituzioni educative siano capaci di cambiare le vite delle persone. Ma allo stesso tempo, cerchiamo ovunque — dai podcast motivazionali ai percorsi di self-help, dai bootcamp tech ai ritiri spirituali — percorsi che promettono miglioramento, cambiamento, trasformazione.
Da un lato, non crediamo più nelle istituzioni che hanno il compito di formarci.
Dall’altro, cerchiamo ovunque esperienze in grado di trasformarci.
È come se la scuola fosse diventata il posto meno adatto in cui imparare qualcosa di importante. Ma l’apprendimento non è finito. È solo migrato altrove.
Fast forward
L’educazione del futuro non sarà più organizzata intorno alla trasmissione di contenuti, ma intorno alla progettazione di esperienze trasformative.
Le esperienze che ci cambiano, lo fanno non perché ci trasmettono nozioni, ma perché mettono in discussione ciò che pensiamo di sapere. Perché ci costringono a fare i conti con il nostro punto di vista. Perché ci mettono a contatto con altri modi di essere.
Perché ci danno il permesso - e il potere - di diventare altro.
La progettazione di questo tipo di esperienze di educazione preferibile avrà bisogno di tre elementi fondamentali.
Design
Non si tratta soltanto di integrare le tecnologie, cambiare i programmi, inventarsi strumenti di “engagement”. È una questione di design: come si progetta un contesto che genera desiderio di conoscenza? Come si crea uno spazio in cui si possa essere accolti, sfidati, visti? Come abbiamo scritto a proposito dell’AI, che ha bisogno di design ma non per essere progettata, per aiutarci a riprogettare noi stessi, così anche l’educazione deve essere riprogettata in modo che possa riprogettare le persone.
Personalizzazione
La partita è cominciata ufficialmente: OpenAI ha lanciato ChatGPT-edu, il modello di intelligenza artificiale pensato per i contesti educativi. Gli strumenti di AI ci permettono non solo di amplificare e potenziare le nostre capacità esecutive e produttive. Ci danno accesso a una quantità di conoscenza potenzialmente infinita, che con il loro aiuto possiamo manipolare, remixare, riutilizzare e rielaborare. Questa disponibilità senza limiti rende ancora più obsoleti i modelli formativi tradizionali incentrati sull’assorbire nozioni, ma aumenta la possibilità di creare percorsi trasformativi personalizzati e immersivi. Con l’AI in mano il punto sarà sempre di meno cosa imparare, ma come usare ciò che sappiamo per creare qualcosa di significativo per noi.
Relazioni
Proprio perché gli strumenti hanno il potere di cambiare le regole del gioco educativo alla radice, metterli nelle mani degli studenti non sarà sufficiente. Rischia di renderli ancora più confusi, isolati e vulnerabili. Nei momenti in cui attraversano un cambio di paradigma, le persone hanno più che mai bisogno di guida, orientamento, supporto. Serviranno esperienze condivise, dialogo costante, full-immersion in presenza, mentorship, aiuto nell’esplorazione e nel miglioramento delle facoltà umane e relazionali che le macchine non potranno aiutarci a migliorare.
La nuova formazione sarà trasformativa in questo senso: non si tratterà di acquisire delle skill, imparare a scrivere, a calcolare o a programmare. Si tratterà di imparare a usare la scrittura, il calcolo o la programmazione per migliorare noi stessi. Per dare alle nostre capacità uno scopo, una direzione e un significato.
L’obiettivo non sarà diventare competenti, ma diventare qualcosa di diverso da quello che siamo.
Forse nel futuro l’educazione sarà ovunque tranne che dove la immaginiamo oggi: non nei voti, nei test, nelle aule. Ma nei luoghi dove qualcuno ci chiederà che cosa desideriamo veramente. Dove potremo correre un rischio reale. Dove non saremo valutati in base alle metriche, ma in base alla risonanza che ciò che facciamo ha per noi e per gli altri.
Educare significa ancora questo: disegnare spazi in cui una persona possa conoscersi, fiorire, ed evolvere.
Non spiegarle come funziona il mondo. Ma aiutarla a decidere come vuole cambiarlo.
Ciao Matteo e Paolo,
oggi si è concluso un progetto di sperimentazione che intensamente vissuto con 18 docenti di Liceo. Ho condiviso con loro una versione semplificata della Meccanica della Mente, offrendo strumenti e chiavi di lettura pensati prima di tutto per loro, affinché potessero poi essere di valore anche per gli studenti e le famiglie.
È stata un’esperienza profondamente intensa, arricchente e generativa, che mi ha lasciato dentro un senso rinnovato di speranza per il futuro.
Leggervi questa sera è stato altrettanto piacevole, rigenerante e stimolante.
Credo profondamente nella scuola e nei suoi protagonisti. Sogno un giorno in cui le istituzioni riconosceranno che il vero bisogno collettivo è comprendere l’intelligenza umana per imparare a usarla in modo consapevole, armonico e conviviale — anche e soprattutto in relazione all’intelligenza artificiale.
Solo così i docenti potranno diventare davvero architetti di contesti capaci di facilitare l’esperienza umana del conoscere, il mondo e se stessi/e, e ingegneri mentali in grado di ricablare e riabilitare pensieri confusi e menti disorientate, plasmate da un sistema che troppo spesso ci spinge a vivere in una schiavitù reattiva anziché in una libertà riflessiva.
Che piacere leggere questo futuro preferibile anche se...
"Forse nel futuro l’educazione sarà ovunque tranne che dove la immaginiamo oggi: non nei voti, nei test, nelle aule. Ma nei luoghi dove qualcuno ci chiederà che cosa desideriamo veramente. Dove potremo correre un rischio reale. Dove non saremo valutati in base alle metriche, ma in base alla risonanza che ciò che facciamo ha per noi e per gli altri."
Cito questo pezzo perché questi luoghi sono già presenti e fiorenti, forse non così tanto mainstream ma ci sono. E sarebbe bello darne spazio nelle prossime NL!
Ne cito alcuni in ordine sparso: Piazza dei Mestieri, Cometa, ASLAM solo per citarne alcuni.
Ne consegue che, a mio modesto parere, non posso non offrire una breve critica costruttiva: serve documentarsi un po' di più prima di dare una visione generalizzata, seppur drammatica, dei contesti educativi.
Non è impossibile educare, è "solo" molto rischioso e oggi pochi hanno l'audacia per prendersi questo rischio. Ne parlano tutti e lo fanno in pochissimi.
Consiglio la lettura di un interessante e non-convenzionale saggio chiamato "Il rischio educativo" scritto da Luigi Giussani diversi anni fa. Offre un metodo credo ancora attuale per imparare ad imparare, senza censurare niente.
https://www.rizzolilibri.it/libri/il-rischio-educativo/