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Jul 30Liked by Matteo Roversi, Paolo Gervasi

Bella prospettiva. Mi ricorda Byung-Chul Han che, ne “La società della stanchezza”, spinge il ragionamento della produttività (e della sua alienazione) ancora oltre: si tratta del (nuovo) modo in cui il capitalismo controlla le persone. Letteralmente spingendole (a differenza del “vecchio capitalismo”) a controllare se stesse, investire tutte le loro energie e non sentirsi abbastanza.

La sua conclusione però è cupa: la soluzione non può stare sul piano dell’individuo. Come tutte le grandi (e inedite) sfide che abbiamo davanti oggi, anche questa si può vincere solo recuperando la dimensione sociale e politica.

L’idea che il singolo possa cambiare è solo un altra modalità di controllo: genera azioni individuali inutili e di scarso impatto eccetto che come forma di frustrazione individuale che poi diventa disillusione e sconfitta.

Frammentati e isolati, saremo sempre troppo piccoli per cambiare il sistema

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Grazie Simo! Condivido la tesi, ma penso anche che le dimensioni individuale e collettiva siano strettamente intrecciate. È vero che per cambiare le cose serve un movimento. Ma è anche vero che i movimenti non nascono senza la spinta degli individui. E come individui troppo spesso non guardiamo le cose per come sono, ma in base a chi siamo noi. Forse il movimento sociale e politico di cui abbiamo bisogno ha a sua volta bisogno di individui coraggiosi e capaci di ispirare gli altri. Probabilmente sono immerso in una bolla, eppure mi sembra di vedere i primi segnali di cambiamento. Internet è piena di storie meravigliose di resistenza ed emancipazione dalla crescita e dalla produttività a ogni costo. Forse hanno poco impatto, ma stanno avendo una crescente risonanza. Del resto anche Futuri Preferibili è un luogo con poco impatto: la nostra ambizione non è cambiare il mondo, ma offrire delle prospettive diverse per imparare a leggerlo con occhi nuovi. Che poi è il primo passo per fare la differenza.

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Jul 31·edited Jul 31Liked by Matteo Roversi

Se è vero che viviamo nelle nostre bolle (e forse è vero Matteo), è anche vero che conosciamo altre bolle, forse più preoccupanti, attorno alle quali si crea un gran movimento (mi viene in mente una lettura fatta la scorsa estate per l’appunto https://edizionialegre.it/product/la-q-di-qomplotto/), persone che mosse da emozioni forti che agiscono comunque col desiderio di uscire dal tritacarne di una contemporaneità in cui ci sentiamo esasperati dalla corsa alla produttività.

L’opportunità che abbiamo è quella di confermare le nostre scelte all'interno dell bolle per poi uscire dalle nostre bolle e raccontare quello che abbiamo imparato anche a chi è più distante, anche solo un passo distante.

Il collettivo Wu Ming rappresenta per me un grande esempio di chi, nel suo ambito, prova ad agire per orientarsi verso futuri diversi.

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Ciao Simo! La tua idea è simile a quella espressa dall'articolo del New Yorker che abbiamo linkato. "Facciamo che la produttività sia un problema del sistema e non degli individui. Così se il sistema esagera, gli individui si ribelleranno". In linea di massima io sono d'accordo, è un pensiero che fa parte della mia educazione politica. Però secondo me è anche un limite di una certa linea di pensiero politica, per cui il sistema diventa un alibi, additarlo come unico responsabile dei nostri mali allontana nel tempo il cambiamento, e ci autorizza a non lavorare su noi stessi.

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Jul 31·edited Jul 31Liked by Matteo Roversi, Paolo Gervasi

Colgo l'occasione di un errore (aver chiuso la finestra con un commento già scritto) per entrare nella conversazione con un meta-commento.

La soluzione, a mio avviso, può stare nell'individuo nella misura in cui questo individuo è capace di aggregare altri individui, creare un movimento e con questo movimento avviare un cambiamento.

Sarei potuto andare a prendere il caffè dopo aver chiuso la finestra ma, mi sono fermato, ho pensato e ho scelto di fermarmi e riscrivere perché è attorno a pensieri come quelli dei Futuri Preferibili che serve creare un movimento.

Noi siamo individui nella sfera privata ma lo siamo anche nel modo in cui facciamo impresa, ad esempio, e il modo il cui facciamo impresa e lavoriamo insieme agli altri rappresenta una straordinaria opportunità per agire diversamente, per creare un movimento, per vedere come, di fronte a un approccio non legato all’iper-produttività, le persone sgranano gli occhi e, talvolta realizzano che forse non serve mangiare così tante rane.

Il raggio di proiezione del cono dei futuri preferibili è leggermente scostato da quello di quelli prevedibili, è attraverso le nostre azioni, individuali, comunitarie, sociali, che possiamo contribuire a spostarlo.

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Aug 23·edited Aug 23Liked by Matteo Roversi, Paolo Gervasi

La dimensione di comunità (e quindi sociale) è quello che ci permette di costruire una cultura nuova, ponendo al centro la domanda "cosa desideri veramente?". Questo IMHO implica iniziare a inserire delle dinamiche "fuori mercato" come la gratuità e il dono quali ingredienti nuovi delle nostre azioni. Siamo pronti a questa sfida?

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Jul 29Liked by Matteo Roversi, Paolo Gervasi

Mi viene in mente la "Last Lecture" di Randy Pausch, un professore che mi ha cambiato prospettiva, e che ha condiviso delle lezioni di vita incredibili nel suo ultimo discorso prima di morire.

Consiglio di guardare il suo discorso: la sua vita è stata davvero pazzesca.

PS: anche lui in un certo senso parla di… rane 😁

https://youtu.be/ji5_MqicxSo?si=Nw55wCQ6fRzLfvCR

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Grazie Andrea, me lo guardo senz'altro!

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Jul 30Liked by Matteo Roversi

questa volta rispondo di getto, così, con un bel copia incolla di una riflessione generata non dopo ma durante la lettura dell'ultima mail.

Eccola!

la vera liberta è concedersi del tempo, tempo per non far nulla che non sia respirare e pensare, senza influenze esterne, neanche fisiche. Lasciare che la macchiana mente(corpo) si prenda il tempo di pensare a ciò che è accaduto in passato e a immaginare il futuro. La vera libertà è usare quel tempo per capire davvero ciò che per noi conta e, così, proiettarci verso un futuro desiderato non più da influenze esterne ma da noi. Se ci pensiamo dentro il termine distrazione c'è la risposta: le emozioni sono tensioni, trazioni che ci avvicinano a ciò che vogliamo e ci allontanano da ciò che non vogliamo, sono "trazioni" che la dis-trazione ci impedisce di ascoltare, che impedisce la piena manifestazione dell'energia "trainante". Il tutto verso l'attenzione che, in questo gioco di parole, contiene l'atto di agire, la tensione ovvero l'energia delle emozioni e l'attesa utili a capire come poi agire. Se è vero che gli adulti imparano per utilità, i bambini lo fanno per gioco e quando parliamo di emozioni parliamo anche con il nostro bambino interiore. E allora perchè non iniziare con un gioco di parole per avere l'attenzione dell'adulto che c'è in noi?

Manca il grassetto, la revisione dei refusi e un po' di produttività. Per il resto c'è tutto. Me stesso.

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Che bell'articolo, mi ha fatto venire una gran voglia di leggere, riflettere e scrivere.

Uno degli aspetti più subdoli del capitalismo contemporaneo è l’idea che dobbiamo capitalizzare ogni minuto del nostro tempo, ogni nostra passione, persino i nostri sogni. Un side-project non è più solo un progetto personale, ma diventa uno strumento per ottenere una presunta "nuova libertà" che, come giustamente sottolineate, si trasforma in una gabbia. Ti piace fare immersioni? Ecco la pressione per ottenere il brevetto, che non si sa mai. Hai un progetto editoriale? Devi renderlo scalabile. Hai iniziato a produrre vasi di ceramica? È ora di aprire un e-commerce.

Questo fenomeno non si limita al "Quantified Self" (di cui, se non sbaglio, avete già parlato), ma quello che mi spaventa è quanto venga alimentato dal nostro contesto sociale e dalle aspettative che ci creiamo a vicenda. Non sono solo i genitori a spingere i figli verso Princeton; sono anche gli amici che ci spingono verso l'ottimizzazione e la monetizzazione delle nostre evasioni.

Cito spesso Steven K. Roberts, il primo nomade digitale, che negli anni Ottanta ha scelto di lavorare da remoto. In uno dei suoi scritti, dice: «La libertà più deliziosa nasce dall'avventurarsi al di là delle aspettative che gli altri hanno creato su di te.» All'inizio, mi sono concentrato molto sull'aspetto personale della ricerca della libertà, "contro" le aspettative degli altri. Poi ho iniziato a chiedermi: come posso smettere di creare aspettative sugli altri?

Prendendo spunto dal vostro Futuro Preferibile, aggiungo un altro ingrediente al calderone. Cerco di passare dalla sfera individuale a quella sociale, senza necessariamente coinvolgere il "sistema" di cui ho letto un interessante thread di @simonetornabene e @francescoterzini. Possiamo ad esempio smettere di aspettarci che le vacanze degli altri siano raccontate come fossero contenuti da creator, di competere su chi è più stanco il venerdì, o di aspettarci che gli hobby dei nostri colleghi e amici debbano avere un senso, una misurabilità. In questo modo, aiutiamo loro a coltivare la sfera del preferibile, dando loro un po' più di spazio per chiedersi cosa desiderano davvero.

Grazie Matteo e Paolo per questo articolo.

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