In questa newsletter raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
Vi capita mai di sentirvi soli e sole?
Se la risposta è sì, beh, allora siete in buona compagnia. Perché la solitudine rischia di diventare il tratto per cui verrà ricordata la nostra epoca.
Qualche fatto:
il 2023 è stato l’anno in cui le persone negli Stati Uniti hanno speso più tempo da sole da quando si raccolgono i dati (1965);
la World Health Organization ha inserito la solitudine tra le emergenze sanitarie;
la gen Z celebra la JOMO, la gioia dei piani cancellati e delle occasioni sociali mancate;
i giovani uomini hanno pochi amici, reti sociali deboli, non trovano un posto nella società, fanno fatica a relazionarsi con l’altro sesso, e sono spesso autori di atti di aggressività e violenza;
le relazioni sentimentali e sessuali sono più difficili e instabili, nonostante le dating app (o proprio per colpa loro?);
Uk e Giappone hanno istituito dei “ministeri della solitudine”;
secondo l’esperto immobiliare Bobby Fijan, perfino nelle case stiamo eliminando gli spazi pensati per la socialità: meno salotti, più camere da letto e cabine-armadio;
i ristoranti si trasformano in servizi di delivery;
l’intrattenimento dal vivo cede il passo all’intrattenimento digitale.
Flashback
L’essere umano è un animale sociale, ha scritto Aristotele.
Sopravviviamo e progrediamo solo grazie alle relazioni con gli altri.
Fin dall’alba dei tempi abbiamo vissuto in gruppi. E abbiamo prosperato, conquistato il pianeta, costruito città, sconfitto predatori e malattie grazie alla nostra capacità di riunirci e collaborare in comunità sempre più grandi.
Il linguaggio, le storie, le istituzioni, le leggi sono strumenti che hanno reso la tribù umana sempre più nutrita e interconnessa. E anche le tecnologie sono nate per estendere e potenziare le capacità dei gruppi di connettersi e collaborare.
Abbiamo inventato l’automobile per spostarci più velocemente e quindi incontrare più gente. Abbiamo inventato la tv per condividere più informazioni. Ma proprio in quel momento abbiamo cominciato ad allontanarci e a passare più tempo da soli: chiusi in macchina, immobili davanti alla tv.
Lo stesso è accaduto con le tecnologie digitali, che per molti sono le vere responsabili dell’epidemia di solitudine. Hanno dato per la prima volta all’umanità la possibilità di collaborare su scala planetaria. E così hanno creato il paradosso che viviamo oggi: isolamento per eccesso di connessione.
Abbiamo talmente perfezionato e automatizzato gli strumenti di collaborazione e interazione, che c’è stato sempre meno bisogno di stare insieme e unirsi fisicamente per sopravvivere. Abbiamo virtualizzato la tribù, e quindi ci siamo ritrovati soli.
Poi a peggiorare la situazione è arrivata anche una dose massiccia di pensiero individualista. Abbiamo cominciato a pensare che ognuno deve cavarsela da solo. Che il mio successo passa per la tua sconfitta. Che il bene dei singoli può essere svincolato dal bene della tribù.
Fast forward
Senza l’alleanza e il supporto della tribù, però, non possiamo sopravvivere, non possiamo prosperare né essere felici. E non possiamo nemmeno cercare di uscire dalle tante crisi generate dal pensiero individualista.
Per questo esistono dei segnali, dei movimenti, delle tendenze che esprimono un bisogno diffuso di risocializzazione. E il nostro Futuro Preferibile è quello in cui riusciremo ad assecondare e a potenziare queste tendenze.
Ripensare internet
Mai come oggi il mondo tech è stato investito dalla sfiducia delle persone. Per questo potrebbe essere il momento giusto per riavviare il sistema: immaginare nuovi ambienti digitali che non usano gli umani come risorse da sfruttare, ma diventano luoghi di potenziamento e riconnessione della tribù.
Riprogrammare le relazioni
Le persone esprimono il bisogno di “rinaturalizzare” i propri rapporti: ricercano autenticità, relazioni qualitative, periodi di disconnessione, perfino l’attrito del mondo analogico. Desiderano una nuova economia fatta di scambi non interamente transazionali, ma basati su fiducia, collaborazione e generosità.
Ricostruire le comunità
Le persone cercano nuove comunità di cui sentirsi parte. Il quartiere, la scuola dei figli, il gruppo sportivo, l’associazione di volontariato: c’è voglia di uscire da sé stessi e mettersi a disposizione di qualcosa di più grande. Non è la ricerca di identità, che crea divisioni, ma la ricerca di qualcosa che ci unisce.
Riprogettare gli spazi pubblici
Le città sono diventate laboratori dell’isolamento: zone inaccessibili, barriere architettoniche, separazioni sociali. La collettività reclama spazi in cui le persone possono incontrarsi, scambiare esperienze, rafforzare le relazioni: parchi, piazze, biblioteche, teatri. Spazi aperti, accoglienti, accessibili, pubblici.
Riconquistare la cultura
È già in atto un ritorno della cultura indipendente che si contrappone all’egemonia del mainstream e propone contenuti più liberi, creativi, svincolati dalla pressione degli algoritmi. Piattaforme di nuova generazione come Substack abilitano comunità solide e nuove modalità di condivisione e connessione.
Ripensare il lavoro
Il lavoro da remoto ha accelerato l'isolamento. Ma ha anche dato alle persone nuovi ritmi e organizzazioni di vita. Il lavoro flessibile è una grande occasione di risocializzazione: gestione autonoma del tempo, scoperta di nuovi spazi ibridi, nuove occasioni di presenza più intense e significative rispetto alla routine dell’ufficio.
Rifondare la scuola
La scuola è un potente luogo di socializzazione. Oggi però sembra aver perso la capacità di alimentare i sogni e i destini comuni delle nuove generazioni. Ce ne siamo accorti con le reazioni al nostro ultimo articolo sull’apprendimento: ripensare tempi, modalità, luoghi dell’educazione potrebbe ravvivare la spinta collettiva e condivisa alla crescita e al miglioramento.
Nell’età dell’isolamento passiamo più tempo all’interno della nostra cerchia ristretta, quella familiare. E passiamo molto tempo connessi a comunità virtuali, cercando la compagnia di persone che vivono lontano, ma con cui abbiamo delle affinità.
Abbiamo perso, però, la dimensione intermedia, la dimensione del villaggio, quella in cui non incontriamo soltanto i familiari e gli amici, ma incontriamo anche persone diverse da noi, che hanno prospettive e priorità diverse, con cui dobbiamo convivere senza essere per forza d’accordo.
È proprio questa la dimensione che dovremmo riscoprire per rompere l’isolamento: la dimensione del villaggio ci insegna la tolleranza, l’incontro con la diversità, la conciliazione di posizioni opposte. Ci insegna, cioè, a stare insieme agli altri senza mediazione e senza protezioni. Ci indica una via d’uscita possibile dalla zona di comfort della solitudine.