In questa newsletter io e Paolo raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e poi facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Andiamo?
Noi siamo qui
Nelle scuole di New York stanno provando a proibire l’uso dei software di intelligenza artificiale - ne parlavamo qualche settimana fa - perché non solo suggeriscono le risposte ai test, ma scrivono temi indistinguibili da quelli degli studenti. Per le scuole non è una novità: di fronte all’avanzare della tecnologia, il primo istinto è proteggersi, isolarsi, disconnettersi. Dall’uso dei cellulari a quello di internet come “fonte”, il mondo scolastico spesso affronta la novità attraverso il divieto.
Per la scuola italiana il “tema” è una creatura leggendaria: in teoria, un modo per lo studente di elaborare liberamente e criticamente le proprie conoscenze. In pratica, spesso, un modo per dimostrare di aver appreso una struttura di pensiero e di scrittura predefinita. Ricordate? Ci deve essere un inizio, uno svolgimento, una conclusione. Ci devono essere certe nozioni, certe forme, certe riflessioni. Deve essere visibile un certo schema argomentativo. In questo senso l’essay - il cugino anglosassone del tema - è ancora più standardizzato, perché cerca di limitare le digressioni “creative” per insegnare una modalità di scrittura chiara, pulita, semplice.
Insomma: nella maggior parte dei casi il tema era già una scrittura automatica. È per questo che l’intelligenza artificiale è così brava a scrivere temi: perché erano già una forma di intelligenza resa artificiale dalla ripetizione.
ChatGPT non ha fatto altro che smascherare questa verità: a scrivere un buon tema “medio” è capace anche una macchina. Il “dispositivo-tema” (e quindi buona parte del sistema di valutazione) è stato hackerato.
Come può rispondere il sistema scolastico, a parte cercare - inutilmente - di chiudersi?
Flashback
Le avrete sentite anche voi le storie di quei professori di una volta che di anno in anno ripetevano sempre gli stessi compiti in classe, gli stessi esercizi, le stesse richieste. Gli studenti lo scoprivano e si procuravano le risposte dai colleghi degli anni precedenti. In quel caso, chi è che stava tradendo il patto educativo? I docenti o gli studenti?
Se tutto ciò che chiedi a uno studente è superare una prova, lui si ingegnerà per superare la prova, non per imparare. Se la richiesta è soltanto quella, copiare diventa quasi una strategia corretta. Vuoi vedere quanto sono bravo a mettere una crocetta accanto alla risposta giusta? Ecco, sono bravissimo.
Sono sempre di più gli studi che dimostrano che i sistemi educativi tradizionali, basati sul meccanismo di ricompensa e punizione, bastone e carota, non funzionano. Il libro Drive di Daniel H. Pink, pubblicato oltre 10 anni fa, si serve di studi scientifici per spiegare che per motivare davvero all’apprendimento serve incentivare l’autonomia, la padronanza, e la ricerca di uno scopo che non sia solo utilitaristico. Quanti degli insegnamenti e degli strumenti di valutazione usati a scuola rispondono a questi criteri?
Il tema finora era un compito difficile da copiare, facile da assegnare, valutabile in base a criteri oscillanti ma che ambivano ad essere oggettivi. Da un lato la pigrizia umana, dall’altro l’avanzamento tecnologico, però, rischiano di renderlo improvvisamente obsoleto. Perché non è più uno strumento in grado di misurare qualcosa di significativo riguardo al vero apprendimento.
Non sarebbe la prima volta, nella storia dell’educazione, che alcune competenze perdono importanza, fino a cadere in disuso. A un certo punto le macchine da scrivere, il computer e i cambiamenti della comunicazione hanno reso inutile insegnare a scuola la calligrafia. I cambiamenti sociali hanno reso quasi ridicola l’idea dell’economia domestica. C’è stato un momento in cui sembrava inutile insegnare educazione civica (forse non è stata una buona idea). Le lingue antiche resistono, ma le voci che ne mettono in discussione la centralità diventano sempre più ascoltate.
Se un sapere smette di essere decisivo, impararlo diventa sempre di più uno spreco di tempo e di energia: l’impegno che abbiamo messo un tempo nell’imparare a tracciare delle bellissime lettere si è spostato progressivamente nella comprensione dei testi, o nella risoluzione di altri problemi. È proprio questo spostamento che genera nuova conoscenza.
La cosa su cui ragionare quindi dovrebbe essere:
come possiamo impiegare meglio le energie che fino a oggi abbiamo impiegato a scrivere testi che una macchina è in grado di imitare?
Fast Forward
Possiamo anche ironizzare sulla lettera di Elin Mattsson, la pittrice finlandese in fuga dalla scuola di Siracusa dove aveva deciso di mandare i figli. Possiamo dire che era un po’ snob e un po’ naif, poco sensibile alla specificità dei contesti e alle differenze culturali.
È un peccato però che abbia generato per lo più risposte di arroccamento e di difesa dello status quo. Poteva essere almeno un’occasione per confrontare sistemi diversi, e capire come dai sistemi attuali potrebbe nascere la scuola del futuro, la scuola preferibile.
Che non è per forza la scuola finlandese, anzi (per quanto proprio in Finlandia sia in corso un interessantissimo esperimento di abolizione delle materie). Però dovrebbe essere una scuola radicalmente diversa da quella attuale.
La nostra scuola preferibile è una scuola senza il culto della fatica: se un compito si può semplificare attraverso uno strumento, è inutile continuare a esercitarlo. “Eh ma resta una forma di esercizio e di disciplina”, diranno alcuni. Anche spaccare inutilmente le pietre lo è, ma non lo mettiamo nei programmi scolastici.
Questo significa anche una scuola senza nozioni: la memoria umana ormai è definitivamente esternalizzata. Inutile esercitarsi a ricordare cose che possiamo ritrovare in una frazione di secondo. Semmai, impariamo metodi nuovi per ritrovarle, sapere dove cercarle, averle sempre a portata di mano. E soprattutto, invece di ricordare nozioni a memoria, impariamo come usarle, come interrogarle in modo significativo.
La nostra scuola preferibile quindi sarà più una scuola della connessione, e meno una scuola dello scavo in profondità: per secoli abbiamo creato conoscenza scavando, estraendo significati che erano sepolti nelle cose. Oggi è chiaro che la conoscenza si crea mettendo insieme le cose, collegandole, facendole interagire.
La nostra scuola preferibile è anche senza voti, senza valutazioni, senza minacce e senza punizioni. La subordinazione dello studio al voto è stata una delle più grandi sciagure formative che ci siamo inventati. Perché ha fatto sì che prepararsi alla valutazione sia diventato più importante di imparare, di comprendere, e anche di criticare.
Preferiremmo una scuola, infine, il cui centro non sono le materie, ma i problemi da affrontare, e la capacità di trovare delle soluzioni. Una scuola in cui le barriere tra le diverse discipline sono sempre più permeabili, perché avremo imparato ad attingere agli strumenti più utili in ogni situazione, non a sezionare situazioni complesse in base alle materie.
Esistono già dei modelli possibili per la scuola preferibile: la Kahn Academy fondata da Sal Kahn propone un’organizzazione quasi del tutto rovesciata del sistema scolastico. In classe si fanno insieme compiti, esercizi collaborativi, laboratori. E a casa si guardano le lezioni, non solo quelle dei propri professori, ma attingendo allo sterminato patrimonio di conoscenze disponibili online.
Senza mancare di rispetto agli insegnanti, che quasi sempre sono eroici e pieni di passione: ma quante ore di contenuti esistono in rete più interessanti, stimolanti, illuminanti di quello che può dire un singolo professore in classe? Il talento e la passione del singolo professore, semmai, serviranno ad aiutare gli studenti a navigare attraverso quei contenuti.
In questo senso, anche l’integrazione dell’intelligenza artificiale apre possibilità infinite. Impariamo a dialogarci, stimoliamole, chiediamo loro informazioni e spunti. L’essay mediocre che le macchine sono in grado di scrivere diventi il nostro punto di partenza, per imparare a scrivere di più e meglio e al di là.
Al prossimo futuro!
Paolo
bella! riflessioni e considerazioni che dovrebbero essere il punto di partenza per riformare l'ecosistema formativo italiano e mondiale.
Paolo: super numero!