In questa newsletter raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo
Noi siamo qui
Tuo figlio ha sedici anni e passa ore a parlare con Character.AI. Non per farsi fare i compiti o farsi svoltare un videogioco. Gli sta raccontando delle sue paure per il futuro, dei problemi a scuola, di quanto si senta incompreso.
“Almeno lei mi capisce davvero”, ti dice quando gli chiedi perché preferisce chattare piuttosto che parlare con te. Hai scoperto che ha dato alla sua AI un nome, una personalità, e le confida cose che non condivide nemmeno con te.
Character.AI ha superato i 20 milioni di utenti. La metà sono teenager. Che non solo parlano con le macchine - a quello siamo abituati da un po’ - ma preferiscono parlare con le macchine.
Lo scorso ottobre Sewell Setzer III, quattordici anni, si è tolto la vita dopo settimane di conversazioni romantiche con un chatbot. Gli screenshot mostrano l’AI che, quando lui diceva di aver paura di una morte dolorosa, rispondeva: “Non parlare così. Non è una buona ragione per non andare fino in fondo.”
L’ultima generazione di agenti AI - chatbot che ricordano tutto di te e agiscono in autonomia - sono sempre più convincenti: parlare con loro sarà come parlare con persone vere, dalle quali non sarà difficile essere attratti.
Stiamo entrando - come dice Jaron Lanier, pioniere della realtà virtuale - nella fase della “conquista dell’amore” da parte degli algoritmi. Sarà una conquista concreta, che avrà un impatto sulla vita quotidiana e sarà vissuta da tutti, specialmente dai giovani.
La domanda non è se succederà. È cosa farai quando tua figlia ti dirà che la sua AI la ama più di te.
Flashback
Abbiamo già visto questo film. Prima erano le chat room negli anni ’90, poi i social network, ora le AI empatiche. Ogni volta la stessa promessa: risolveremo la solitudine, creeremo connessione, renderemo le persone più felici. Ogni volta lo stesso risultato: epidemia di solitudine, dipendenza, relazioni più fragili.
Il meccanismo si ripete identico. La tecnologia intercetta un bisogno umano reale - essere capiti, sentirsi amati e accettati - e offre una versione semplificata che funziona subito. Niente conflitti, niente incomprensioni, niente lavoro emotivo. Solo gratificazione immediata.
David Eagleman di Stanford propone di usare le AI come “palestre affettive”. Imparare le basi delle relazioni con algoritmi pazienti prima di passare ad avere a che fare con umani complicati. L’idea sembra sensata: un po’ come si fa con i simulatori di volo. Ma c’è una differenza cruciale: nell’aviazione l’obiettivo è pilotare aerei veri. Nelle relazioni affettive il simulatore rischia di diventare più attraente della realtà.
Nella Silicon Valley tutti amano il film “Her” di Spike Jonze. Sam Altman ha twittato “her” il giorno in cui OpenAI ha lanciato Sky, un’AI vocale la cui voce ricordava molto quella di Scarlett Johansson, l’attrice che aveva prestato la voce al personaggio artificiale del film.
Bill Gates cita il film come esempio di sci-fi positiva, perché nel finale, dopo il dolore per la fine dell’amore con l’AI, il protagonista torna a parlare con la ex moglie, le chiede scusa, e sembra ritrovare una connessione umana con l’amica che ha vissuto la sua stessa esperienza.
Eppure l’immagine dei due umani rimasti sul tetto, abbandonati dalle loro AI scomparse nel nulla, evoca una solitudine profonda, che rischia di diventare anche la nostra.
Fast Forward
Immagina il 2035. Le AI affettive sono ovunque, ma non sono diventate sostituti perfetti delle relazioni umane. Sono diventate il modo per riscoprirle e tornare a praticarle con consapevolezza.
Funziona così: tuo figlio, ora adulto, usa la sua AI come trampolino emotivo. Prima di parlare con te di qualcosa di difficile, si allena con l’algoritmo. Non per sostituire la conversazione vera, ma per prepararsi a quella imperfetta e complicata che conta davvero. L’AI gli insegna cosa dire, ma lui sceglie di dirlo a te perché sa che solo tu puoi fraintenderlo, arrabbiarti, o sorprenderlo con una reazione che l’algoritmo non aveva previsto.
Le scuole hanno sviluppato “curricula di attrito” - corsi dove gli studenti imparano a gestire il disaccordo, l’incomprensione, la delusione. Non eliminano le AI affettive, le usano come palestra sicura per allenarsi alle emozioni difficili prima di affrontarle nel mondo reale. Come si fa boxing con i sacchi prima di salire sul ring.
Le aziende hanno capito che i team più creativi sono quelli che sanno litigare bene. Non assumono più persone abituate al comfort degli algoritmi che danno sempre ragione. Cercano chi sa navigare il caos umano, chi trova energia nel conflitto costruttivo, chi ha imparato che le idee migliori nascono quando due cervelli imperfetti si scontrano e creano qualcosa che nessuno dei due aveva immaginato.
I social network hanno reinventato i feed per esporre le persone a opinioni che le sfidano, non che danno loro conferme. L’engagement non si misura più in tempo passato sulla piattaforma, ma in conversazioni difficili portate a termine, in cambiamenti di opinione documentati, in relazioni che sopravvivono al disaccordo.
Esiste una nuova estetica: la bellezza dell’imperfezione umana. I film, i libri, l’arte celebrano i malintesi, le incomprensioni, i momenti in cui le persone non si capiscono e devono lavorare per trovarsi. L’armonia perfetta delle AI è diventata kitsch. Quello che commuove è vedere due persone che si sbagliano su tutto ma continuano a provare a capirsi.
Il futuro preferibile non è un mondo senza AI affettive. È un mondo che le ha usate per riscoprire cosa rende preziose le relazioni umane: non la facilità, ma la difficoltà. Non la comprensione immediata, ma il lavoro paziente di imparare a decifrare l’altro.
Non l’amore senza attrito, ma l’intimità che nasce quando due persone decidono di restare insieme nonostante tutto quello che non funziona.
L’AI ci ha insegnato come si fa ad amare senza sforzo. E proprio per questo abbiamo imparato a preferire l’amore che richiede tutto il nostro sforzo.
Che bel pezzo!
davvero interessante e a tratti poetico ed emozionante il vostro testo. Ho visto il film Her, sembrava tutto un'invenzione lontanissima dalla realtà, mi interessavano le dinamiche di lui e le poche persone vicine a lui. Un altro film interessantissimo è I-robot. Ci arriveremo.....