In questa newsletter raccontiamo i nostri Futuri Preferibili in tre mosse: partiamo da qualcosa che accade nel presente, prendiamo la rincorsa nel passato e facciamo un salto nel futuro. Non per prevederlo, ma per provare a indirizzarlo.
Noi siamo qui
Il tavolo di legno di un bar. Due tazze di caffè. Due amici che parlano di bellezza e di creatività.
A giudicare da questa scena, è difficile credere che stiamo guardando il video in cui un’azienda tech annuncia la sua sfida più ambiziosa. Eppure uno dei due amici è Sam Altman, il CEO di OpenAI, l’azienda che ha travolto il mondo rendendo l’intelligenza artificiale generativa alla portata di tutti. L’altro è Jony Ive, il leggendario designer che insieme a Steve Jobs ha progettato alcuni degli oggetti tecnologici più dirompenti della storia umana.
Ive e Altman collaboreranno per lanciare il primo dispositivo AI-native. Ma nel video non ci sono dettagli tecnici né scenari futuristici. Solo la dichiarazione implicita che il futuro si costruisce a partire da una conversazione. Che la tecnologia conta, certo, ma ancora di più conta ciò che genera intorno a sé. Ciò che fa emergere nelle persone.
Jasmine Bina lo ha sintetizzato così: «The future isn’t new technology. The future is changed people».
Dobbiamo giudicare qualsiasi innovazione dall’effetto che esercita sull’agency collettiva, sulle abitudini, sulla nostra immaginazione. Il design è l’arte di organizzare e incanalare quell’effetto. Non un vezzo estetico, ma un gesto di rispetto per il tempo e l’attenzione altrui.
Flashback
Il 15 giugno del 1983, sotto il tendone dell’International Design Conference di Aspen, un giovane Steve Jobs chiede ai designer presenti chi di loro ha mai usato un computer. Le mani che si alzano sono pochissime, quasi nessuna.
Jobs non si lascia scoraggiare, e dice ai designer: il computer ha bisogno del vostro aiuto. Siete voi che dovrete salvarlo dalla bruttezza funzionale.
Presto, prevede, passeremo più ore di fronte a un monitor che al volante di un auto. Le macchine con cui dovremo convivere devono meritare il nostro sguardo e la nostra attenzione. Non solo per una questione di piacere estetico, ma perché la forma dirige il senso di ciò che facciamo.
Dalla forma che daremo all’interazione con le macchine, dipenderà la qualità dei risultati che riusciremo a ottenere.
Ecco dove avevamo già visto la scena con il tavolo di legno, e due amici che parlano di bellezza e creatività. A quel tavolo, di fronte a Jony Ive, molti anni prima di Altman, si è seduto tutti i giorni Steve Jobs.
I due pranzano insieme, immaginano curve di scocche e suoni di avvio, ma in realtà stanno trasformando per sempre il nostro modo di interagire con la tecnologia. Stanno progettando dispositivi che ridefiniscono la cultura e i nostri gesti quotidiani, dall’iPod all’iPhone.
Ogni dettaglio è pensato per farci sentire a nostro agio nell’interazione con un potere che altrimenti sarebbe intimidatorio. Attraverso il design la tecnologia smette di essere fredda e respingente. E diventa abilitazione, possibilità, tessuto connettivo.
Fast Forward
Oggi, il dispositivo che Altman e Ive stanno immaginando promette di essere piccolo, privo di schermo, pronto a farsi da parte finché non serve. È un’idea radicale perché riconosce una tensione fondamentale della nostra cultura: la dipendenza da stimoli visivi e l’onnipresenza degli schermi.
Pensate: il primo dispositivo dell’era AI diventa uno strumento capace di ri-orientare la nostra attenzione e tirarla fuori dagli schermi che hanno risucchiato le nostre vite. Sarebbe un altro segnale di quanto l’intelligenza artificiale sta impattando la nostra cultura a tutti i livelli, in modi inattesi e imprevedibili.
Qualunque sarà la soluzione trovata da Altman e Ive, la sua efficacia non si misurerà nella potenza di calcolo o nell’aumento della produttività. Dipenderà dalla qualità dei momenti che ci restituisce. E quindi dalla capacità di progettare mettendo al centro la cura del dettaglio, l’empatia per le persone, la fiducia nella bellezza come attivatore di senso.
Quando un oggetto nasce da questa matrice, cambia le persone prima ancora di cambiare il mercato. Ci invita a usare tempo e attenzione con più intenzione, ci ricorda che il progresso non è accumulare funzioni, ma imparare a vivere meglio.
Ecco perché il video di due persone che parlano sedute a un tavolo risuona come una promessa: dice che anche il futuro dominato dall’AI deve essere pensato a partire dalla nostra umanità, dal nostro desiderio di continuare a riconoscere gli altri e a connetterci con gli altri.
Se vogliamo contribuire a un domani preferibile, è qui che dobbiamo concentrare lo sforzo: progettare strumenti che elevino il modo in cui parliamo, lavoriamo, impariamo, ci prendiamo cura gli uni degli altri. Non basta inseguire la prossima svolta tecnica; serve, ogni giorno, la disciplina di chiederci quale tipo di persone vogliamo diventare e di progettare, con pazienza e attenzione, gli oggetti che ci aiuteranno a esserlo.
Il futuro non si realizza ogni volta che compare una nuova tecnologia. Il futuro avviene quando le persone cambiano in meglio. E questa trasformazione comincia sempre quando qualcuno, magari seduto a un tavolo, ispirato da una conversazione, decide di dedicare tutta la propria creatività e immaginazione alla soluzione di un problema.
Grazie!
In un mondo di news sull’ultima release di qualcosa che ti sei persa, sii il pensiero laterale che, mentre leggi, ti riporta a chi sei, cosa stai facendo, e soprattutto cosa farai🙏🏼